Biografilm 2023 – Notes on Displacement: recensione

Il documentario di Khaled Jarrar che racconta in prima persona le migrazioni

Questa edizione del Biografilm Festival 2023 è stata particolarmente orientata a un approccio socialmente impegnato, almeno nella selezione dei lavori presentati, tra cui spicca Notes on Displacement di Khaled Jarrar.

Un filo comune che ci sembra poter rintracciare in molte delle opere visionate è quello che potremmo definire come identità nomade. Molti dei documentari in concorso infatti sono stati caratterizzati da una forma di autorappresentazione degli autori, che attraverso il linguaggio audiovisivo hanno cercato non solo di raccontare porzioni dell’esistente, ma anche di fare chiarezza sulla propria posizione all’interno di questo esistente, chiamando in causa un processo di costruzione dell’immagine della propria soggettività. Spesso tale immagine è apparsa come un’immagine fluida, priva delle tradizionali distinzioni fra coordinate etniche, di genere o semplicemente estetiche, che per decenni hanno fornito il quadro categoriale di costruzione della soggettività moderna. Ci siamo invece trovati di fronte a identità con background multietnici, postcoloniali, che non si identificano in un genere preciso e che si sentono parte di un mondo apolide, in cui le frontiere dovrebbero essere abbattute una volta per tutte. Questo ci porta al regista di origine palestinese Khaled Jarrar e al suo lavoro Notes on Displacement.

Notes on Displacement: quando il cinema abbatte le frontiere

Notes on Displacement Cinematographe.it

Jarrar nel suo lavoro segue un’anziana donna di origine palestinese, Nadira e la sua famiglia, lungo un viaggio migratorio che li porterà da Damasco alla Germania. Nadira infatti fu costretta ad abbandonare la propria terra d’origine da bambina, a causa delle violenze perpetrate dall’esercito israeliano, per andare a vivere in Siria. Nel 2015 (periodo in cui viene girato il documentario) la donna si trova a dover migrare ancora una volta, per via della crisi siriana. Il regista si finge anch’esso migrante. Affronta tutto il processo migratorio, mostrandoci in prima persona le traversie del viaggio, l’inumanità dei campi in cui i migranti sono costretti a risiedere e la violenza, materiale e psicologica, con cui le forze dell’odine dei vari stati europei, sono abituati a trattare i profughi.
Il lavoro di Jarrar si presenta come un insieme di soggettive. Anche le interviste assumono il significato di stralci di conversazioni fra l’autore e i soggetti che riprende. Vi sono numerose immagini buie e altre sfocate. Le traiettorie visive delineate sono spesso sfuggenti e incerte, come il vagare di queste persone, per territori sconosciuti e inospitali. Vi è in tutto il film una pulsione scopica costantemente frustrata che però spinge a concentrarsi sul sonoro. Un sonoro rivelatore, spesso straziante come nel caso delle registrazioni delle richieste d’aiuto di alcuni profughi su una barca alla deriva vicino le coste greche. Eppure nonostante i buchi neri, la narrazione procede e sprazzi di Grecia, diventano sprazzi di Ungheria, Bulgaria e infine Germania, in un movimento progressivo che simboleggia la marcia stessa dei migranti – a riguardo si vedano le numerose inquadrature di gambe e piedi in movimento, realizzate lungo le strade ferrate. Il cinema documentario diventa un mezzo per Jarrar attraverso cui abbattere simbolicamente, ma anche materialmente, le frontiere. Il montaggio dei vari spezzoni annulla ogni muro e ricostruisce un’idea di mondo in cui ogni territorio si può traslare in quello adiacente, mostrandoci quanto debole e relativo sia il concetto stesso di frontiera e di conseguenza quanto siano fallaci quelle malsane ideologie reazionarie che attorno a un simile concetto costruiscono le proprie politiche.

Diaspora palestinese

Notes on Displacement Cinematographe.it

Un ulteriore significato è aggiunto, al viaggio di Nadira, dal fatto che la storia della donna inizi in Palestina e finisca in Germania. Jarrar stesso, in un’intervista successiva alla proiezione, ha spiegato come la crisi palestinese vada ricondotta alle politiche colonialiste dei sionisti al potere in Israele – e non degli ebrei in generale, ci ha tenuto a distinguere – che a loro volta hanno potuto agire indisturbati nel consesso internazionale, a causa di quello che il popolo ebraico aveva subito durante il nazismo. Il fatto dunque che l’anziana donna palestinese, si trovi costretta a finire la propria esistenza proprio in Germania ha un che di inquietante, soprattutto se si considera che la Germania è uno di quei paesi che non si è fatto scrupoli a commerciare in armi proprio con le fazioni in guerra in Siria. Nadira è due volte profuga ed entrambe le volte la causa ultima della sua condizione sembra risiedere nell’avidità e nella crudeltà dello stesso Occidente (simboleggiato dalla Germania), che poi si mostra alternativamente (e sempre ipocritamente) accogliente o respingente.

Notes on Displacement: valutazione e conclusione

Notes on Displacement Cinematographe.it

La regia di Jarrar è ottima nella sua scelta di adottare un punto di vista completamente aderente alla realtà raccontata. Il montaggio è fondamentale, come già sottolineato, nel restituire il senso del lavoro in questione. Ma quello che più colpisce di Notes on Displacement è la capacità di fare dell’ottimo cinema documentaristico con una semplicità disarmante.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 2.5
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.5