Moka Noir: a Omegna non si beve più caffè – recensione del documentario di Erik Bernasconi

Moka Noir racconta l'incredibile storia di Omegna, ex polo dell'industria del casalingo. Il paese dove fu inventata la moka è oggi abitato da fabbriche vuote. Una parabola che riassume la storia economica di tutta Italia.

Omicidio in Piemonte: le 7 aziende leader del distretto del casalingo sono state trovate in fin di vita nella piccola città di Omegna, nei pressi del lago d’Orta. I 15 mila abitanti si interrogano sul futuro del paese dopo la tragedia. Erik Bernasconi immagina così il tramonto del miracolo industriale di Omegna. Un fatto di cronaca nera, da indagare secondo i principi della detection. Per questo Moka Noir è il titolo del suo ultimo documentario. Si cerca l’assassino tra i bianchi e neri di cui la vicenda (e il film) si tinge.

Cappello e cappotto, Bernasconi coglie il legame tra un paese e il mondo del lavoro. Con la sceneggiatura di Matteo Severgini, giornalista omegnese, si getta nei misteri di una città che riassume l’Italia. Qui, negli anni ’60, Bialetti, Piazza, Alessi, Lagostina e molte altre rivoluzionarono il settore casalingo. Aziende pensate per il futuro di un paese, dove però sono venute a mancare. In questo contesto è nata la moka, “abbiamo dato il caffè a tutti e ora sono tutti stressati” ironizza Renato Bialetti, scomparso nel 2016. Oggi però “a Omegna non si beve più caffè”. Dagli anni ’90 il polo del casalingo è cominciato a scomparire. Chi ha ucciso il miracolo omegnese? Mentre Bernasconi parla con imprenditori, lavoratori ed economisti, avvertiamo la longa manus della globalizzazione.

Moka Noir: un’inchiesta senza imputati

Moka Noir a Omegna non si beve più caffè cinematographe.it

Bernasconi intervista una città intera. Nessuno può chiamarsi fuori dalla vicenda, anche se tutti si dichiarano parte lesa. Per questo in apertura Moka Noir: a Omegna non si beve più caffè promette “rispetto per le vittime”. Bernasconi intuisce i solchi lasciati dal fallimento di un sistema. Per capire parla con i lavoratori, i più colpiti dalla crisi. Raccontano di un tempo andato, dove a 16 o 17 anni si iniziava a lavorare. Le “7 sorelle”, così Bernasconi chiama il polo industriale di Omegna, si dividevano i lavoratori. Molti ricordano quei giorni con nostalgia. La parola “famiglia” è la più ricorrente. Oggi, a 50 o 60 anni, le stesse persone cambiano un impiego a settimana, “se va bene”.

Nel suo tentativo di mimare una detective story, Moka Noir è avvincente per quanto sconfortante. Il film non limita mai le possibilità di chiarimento, anche se molti passaggi restano in balia dell’insolvibile. Dove serve un contenuto per chiosare un periodo, Bernasconi mostra un frammento di carosello. Dove manca un passaggio logico, si immerge nei bar del paese a cercare indiziati, e trova personaggi al limite del mitologico. “Il Dago”, ex dipendente in pensione, racconta di un tempo scomparso nel nulla. Interviste, materiali d’archivio e riprese aeree traggono un insieme drammatico. Le fabbriche vuote, inquietanti per la loro desolata modernità, sono testimoni muti. Quegli spazi ora si riempiono altrove, dove il modello che in Italia e in occidente non funziona più permette una crescita inarrestabile.

Guardare l’Italia dalla piccola Omegna

Moka Noir a Omegna non si beve più caffè cinematographe.it

Moka Noir si pone tra l’Italia di ieri e di oggi. Il cuore del discorso avanza per comparazione. Nelle memorie degli imprenditori e degli operai la nostalgia forza la storia, ma propone prima di tutto una verità umana. In virtù di questo conflitto di tempi, Bernasconi mette a confronto le nemesi di un tempo. All’imprenditore affianca il sindacalista. Anziani, ricordano le battaglie andate. Ora ridono, scherzano, piegati dagli anni e da un nemico più grande. Le fabbriche sono chiuse, non c’è lotta da portare avanti.

Nei suoi momenti migliori, Moka Noir afferra l’ambiguità di un discorso irrisolto. La ricerca di un colpevole conduce a nuove domande. In che momento si diventi oggetto da museo è una delle più dolorose. Molte delle invenzioni del polo casalingo di Omegna hanno rivoluzionato le case d’Italia e non solo, ma ora sono marchi, loghi, icone senza anima.  Delocalizzati o sconfitti da copie più economiche. L’Alessi è una delle poche ancora a Omegna. La creatività del design, che l’ha sempre contraddistinta (lo spremiagrumi a mò di navicella è ancora un bestseller), le permette di non essere replicabile. Persino Salvador Dalì lavorò con loro, anche se per produrre il più inutilizzabile degli oggetti. Alberto Alessi lo racconta con orgoglio, lo stesso che adopera parlando dell’azienda rimasta a Omegna.  Neanche lui sa però davvero cosa abbia spazzato via le “sorelle” del polo casalingo. Moka Noir lascia così nel dubbio, ma racconta, dalla prospettiva di un piccolo comune, la parabola economica di un intero paese. Una visione che cambia il gusto del caffè.

 

 

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.6