Matrix Resurrections: recensione del film di Lana Wachowski con Keanu Reeves e Carrie-Ann Moss

A diciannove anni da Matrix Reloaded, Lana Wachowski dirige l’attesissimo sequel: Neo e Trinity sono pronti a tornare in sala dal 1° gennaio 2022.

Lana Wachowski è tornata, e con lei anche i nostri anni novanta. A più di vent’anni di distanza dall’uscita del primo capitolo della saga (Matrix, 1999), il sodalizio artistico e sanguigno delle sorelle Wachowski ha lasciato spazio all’impresa di Lana, che insieme a David Mitchell e Aleksandar Hemon ha fatto respirare una sceneggiatura annunciata da anni. In bilico tra passato e presente, sogno e realtà, l’anno nuovo comincia con un flashback al ’99, quando i cucchiaini si piegavano a metà e l’illusione del reale destava l’anima curiosa di intere generazioni.

In Matrix Resurrections tornano i volti della saga originale, Keanu Reeves e Carrie-Ann Moss tornano nel ruolo di Neo e Trinity, ma compaiono nuovi volti interessanti: Jessica Henwick nei panni dell’hacker Bugs, Priyanka Chopra come Sati, Yahya Abdul-Mateen e Jonathan Groff rispettivamente nei ruoli di Morpheus e dell’Agente Smith. La Warner Bros. gioca con il fuoco, a ragione: già dai tempi della trilogia originale, al centro dell’universo narrativo delle sorelle Wachowski c’è sempre stato il legame indissolubile di Neo e Trinity – cornice di un discorso più profondo ed evocativo riguardo la transizione sessuale -, inserito in un contesto in cui la pervasività della tecnologia era solo ancora sussurrata e prevista. Nel sequel di Lana Wachowski, il 2022 è l’avverarsi di una previsione: Neo e Trinity sono vivi in un mondo che non ha nulla in comune con l’esperienza di vita condotta diciannove anni prima. Parallelismi mnemonici e incubi terrificanti tormentano Thomas Anderson (Keanu Reeves), creatore di Matrix, un videogioco di successo che – come il primo capitolo cinematografico del ’99 – ha cambiato per sempre le sorti dell’industria videoludica. È proprio contro quest’industria e i suoi fanatici che si scaglia la critica della regista, che con un’ironia ferina attacca violentemente l’uso improprio e acritico del mezzo tecnologico.

Un progetto ambizioso e non necessario, che confermando e omaggiando le premesse della trilogia, riscrive come possibile un nuovo universo, ancora dominato dall’atavica lotta tra uomo e macchina, ma nutrito da un amore capace di vincere le regole del tempo.

Matrix Resurrections è al cinema dal 1° gennaio con Warner Bros.

Keanu Reeves e Carrie-Ann Moss riprendono i ruoli di Neo e Trinity in Matrix Resurrections

Thomas Anderson (Keanu Reeves), noto creatore di videogames, è l’ideatore di Matrix, un videogioco di successo che ha cambiato per sempre le prospettive dell’industria videoludica, incastrata in un loop che investe ogni energia nel raggiungimento di una produttività estesa ad ogni ambito comunicativo. Con l’aiuto di un terapista – lo psicologo interpretato da Neil Patrick Harris– e delle sue pillole blu, Thomas cerca di educare la mente alla percezione del reale, sconvolto dalla permeabilità di un gioco che sente di aver vissuto e non solo programmato. A scandire la realtà che vive è l’incontro con Tiffany (Carrie-Ann Moss), moglie e madre di due figli su cui Thomas ha modellato Trinity, l’indomabile protagonista del suo gioco. I frequenti déja vu con la donna destano Neo, che si “risveglia” dal sonno lucido con l’unico obiettivo di liberare Trinity: Bugs (Jessica Henwick), capitano della nave Mnemosyne, trova una routine privata del gioco forse lanciata proprio dal suo creatore, e insieme alla sua ciurma guida Neo nell’impresa suicida di ritrovare l’amata.

Un incipit interessante per un sequel che non eguaglia la “matrice”

Matrix Resurrections - Cinematographe.it

Lana Wachowski ha ragionato lucidamente sulle condizioni d’esistenza di un sequel che, della trilogia originale, conferma le premesse ed espande l’universo. La qualità di questa scommessa è giocata su un uso sapiente dell’ironia, una critica brutale, nera e ostile rivolta all’universo videoludico e i suoi fruitori, cullati dalle certezze di un’ossessiva fertilità creativa, attesa e sollecitata anche quando vuota. Il film di Lana Wachowski è intelligente, acuto, si giustifica con un espediente che, virando l’attenzione dello spettatore sull’acriticità di pensiero dell’individuo medio, permette all’universo narrativo di Matrix di espandersi con la cintura di sicurezza, trainato dall’ironia.

Matrix Resurrections è un omaggio visibile alla sua matrice, un atto di nostalgia con l’intento di dare all’Eletto una nuova via per esistere. Se il primo atto concede allo spettatore un salto alle atmosfere mindporn del primo capitolo, stravolgendo l’identità familiare dei personaggi con una squisita (e voluta) messa in scena posticcia (il Thomas Anderson del primo quarto d’ora sembra il protagonista di uno spot di Starbucks), le licenze tecniche e narrative della Wachowski rettificano presto l’impostazione disinibita delle premesse metacinematografiche per imporsi come manuale di comprensione del testo visivo. Ancora una volta, è la matrice a guidare il successo: quando si entra nel vivo della narrazione e decadono i parallelismi tra passato e presente, la spinta narrativa della sceneggiatura fallisce per mancanza di ispirazione, cedendo paradossalmente ad un codice binario di amore o morte che neanche le scene action – seppur cesellate – riescono a rendere interessante.

Al netto della satira, delle previsioni sull’utilizzo nervoso e spasmodico della tecnologia, del bullet time, dei combattimenti corpo a corpo, delle acrobazie aeree, della cornice semantica in cui le sorelle Wachowski consumavano il senso del libero arbitrio e il forsennato percorso di assoluzione dalle rigide disposizioni della società, al centro di Matrix c’è sempre stata la storia d’amore di Neo e Trinity, che qui – più che nella trilogia – conferma la virtualità senziente di ogni rapporto umano. Se la scelta è un’illusione, l’amore è l’unico punto di contatto con ciò che crediamo reale.

Carrie-Ann Moss è fantastica nel duplice ruolo di Tiffany/Trinity: un personaggio scritto bene, affrancato dalla subordinazione, oltre le abilità dello stesso Eletto. È lei a spingere in alto Neo, analogamente a come la storia d’amore salva Keanu Reeves dal fallire nel ruolo di se stesso: un uomo buono, gettato nel mondo – direbbe Sartre, che dice di sì a tutto, anche ad un progetto che funziona per venti minuti su 148.

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Regia - 3.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.3

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