TSFF 2020 – L’ultimo uomo che dipinse il cinema: recensione del film di Walter Bencini

L'ultimo uomo che dipinse il cinema è l'istantanea di un uomo che sa cambiare per poter essere sempre al passo con i tempi

Aurelio De Laurentis, Vittorio Cecchi Gori, Osvaldo de Micheli, Terence Hill, Carlo Verdone, Enrico Vanzina, Dario Argento, Federico Mauro, Maurizio Baroni, Nicoletta Pacini, Goffredo Fofi, Giovanni Bogani non è un “semplice” elenco di professionisti, sono solo alcuni dei nomi di coloro che hanno lavorato con Renato Casaro, uno degli ultimi grandi illustratori con una delle carriere più lunghe, iniziata nel 1953, e uno dei creativi che ha lavorato sia con i grandi di Hollywood che con gli artefici degli anni d’oro del cinema italiano. Narra questo Walter Bencini nel suo L’ultimo uomo che dipinse il cinema, documentario in concorso al Trieste Film Festival 2020 e che giovedì 23 gennaio 2020 va in onda su Sky Arte.

L’ultimo uomo che dipinse il cinema: la storia di un uomo che partì dalla facciata del Cinema Garibaldi di Treviso

Cinematographe.it, L'uomo che dipinse il cinema

Fin dal titolo è chiaro l’intento di Bencini far conoscere Renato Casaro, e uno dei lavori più sottovalutati del mondo del cinema, quello del cartellonista. Il film porta al pubblico racconti straordinari di un mondo che non c’è più. Bencini racconta Casaro, l’uomo (gli inizi del giovane in una tipografia come apprendista grafico, i primi cartelloni monumentali per la facciata del Cinema Garibaldi di Treviso, le speranze, i sogni), il professionista (l’evoluzione della sua carriera, i successi, le battute d’arresto e gli incontri che lo hanno portato in vetta), l’artista (i manifesti, i bozzetti) e attraverso lui racconta anche la storia del cartellone cinematografico dall’Italia del dopoguerra al cinema moderno, come si sia evoluto e quanto abbia significato per la fortuna di un film.

Bencini è in grado di dimostrare, attraverso Casaro e i suoi lavori, quanto la cartellonistica sia arte, anche se per molto tempo è stata sminuita perché percepita prodotto di massa, togliendole valore artistico. Si sottolinea che la critica ha sempre ritenuto che gli artisti fossero altri, invece Casaro è stato in grado di cambiare rotta, diventare quasi un unicum nel suo genere, grazie ad un gesto, ad una poetica, ad un modus operandi e narrandi tutto suo. Un suo manifesto è in grado per efficacia comunicativa, per creatività di decretare il successo di un film, facendo brillare a volte anche di luce propria i suoi lavori. L’opera di Casaro acquisisce dunque un valore fondamentale per il testo cinematografico – Terence Hill sostiene che molto ha fatto la cartellonistica di Casaro per i film suoi e di Bud Spencer e forse, arriva a dire, senza di lui non avrebbero avuto lo stesso successo -, per la storia del cinema (dal neorealismo al film di genere, dal film d’autore alla commedia all’italiana, dai film di serie B fino ad arrivare al finto manifesto vintage all’interno di C’era una volta a… Hollywood) e per il pubblico, perché è un’opera personale e capace di mettere in moto emozioni e ricordi.

L’ultimo uomo che dipinse il cinema: l’istantanea di un uomo che sa cambiare per poter essere sempre al passo con i tempi

cinematographe.it, L'uomo che dipinse il cinema

Casaro ha realizzato dipinti memorabili, in grado di portare al successo i kolossal ma anche i film d’autore, di racchiudere in un’immagine lo spirito dell’opera, l’anima del regista, il profilo dell’attore. L’uomo che dipinse il cinema fa entrare il pubblico nella sua collezione privata – racconta di aver realizzato oltre 2000 illustrazioni per l’industria cinematografica.

Emerge l’immagine di un artista di enorme intelligenza creativa: ha saputo modificare il suo stile, percependo le trasformazioni dell’arte e del cinema. Il suo stile è stato impressionista, dal gesto veloce, dalla rapida pennellata da cui emergevano i caratteri dei personaggi (la forza sovrumana di Rocky o di Terminator), l’idea del film, più realista e grafico negli anni ’70, per poi utilizzare l’aerografo negli anni ’80. Ha saputo lavorare con eleganza e raffinatezza anche quando la censura era spietata (il nudo di Il Corpo della ragassa ne è un esempio), applicare la fotografia al gesto pittorico (pensiamo al cartellone di Amici miei).

Casaro sente, percepisce, ragiona e alle volte sceglie il gesto folle, ma è anche capace di fare, oggi, un passo indietro quando pensa di essere lontano dall’idea di cartellonistica contemporanea non escludendo il ritorno (parla della bella opportunità con il nuovo film di Verdone).

L’ultimo uomo che dipinse il cinema: il racconto di un artigiano che fa arte

Bencini realizza un documentario che vive dell’ammirazione e della stima di chi sta realizzando una sorta di agiografia, e questo perché sente l’urgenza di restituire il giusto merito all’arte del dipingere, al gesto, all’importanza delle luci e delle ombre, al volo pindarico della genialità, alla metafora (in Acqua e sapone di Verdone riesce perfettamente a rendere l’idea di fondo del film, una favola moderna in cui un giovane ingenuo sogna un amore impossibile). Casaro si definisce un artigiano, è infatti con quella perizia di chi si sporca le mani, di chi non si stanca mai, che costruisce i corpi, dà senso al suo disegno proprio perché intriso del film stesso. Il modus operandi di Casaro è diverso da quello degli altri cartellonisti dell’epoca e di sempre – lo dicono tutti i grandi nomi che riportano alla memoria episodi, aneddoti, piccole o grandi storie relative a film che hanno fatto in un modo o nell’altro la settima arte -: partecipa alla vita del set, parla con i registi, vuole capire il senso del film per poi realizzare il miglior bozzetto possibile che poi diventerà l’immagine del film stesso.

I manifesti sono il primo annuncio di un nuovo film, la prima presa di contatto con gli appassionati ed anche la prima identificazione

Nel manifesto deve esserci l’intero film, sintetizzato, compresso; il suo manifesto rappresenta infatti qualcosa di unico e di particolare pensando ai lavori di oggi, di solito tutti uguali, in cui ormai la fa da padrone il Photoshop. Bencini costruisce un documentario che si fonda proprio su quei cartelloni, che passano di fronte allo sguardo incantato dello spettatore e per ognuno di essi c’è un racconto, un ricordo, ma non è solo questo è anche un’istantanea di una nazione, della sua storia e della sua industria cinematografica. L’uomo che dipinse il cinema dimostra che una pellicola non è solo il prodotto del lavoro del set, non è solo il momento della sala ma dipende inevitabilmente anche da un lavoro di comunicazione: se il cartellone non spinge il pubblico ad andare al cinema probabilmente il film non avrà il successo sperato.

CInematographe.it, L'uomo che dipinse il cinema

Bencini realizza un bel documentario, classico nel suo genere, in grado di far conoscere un uomo che ha fatto grande il cinema, che con i suoi colori e con i suoi bozzetti è stato in grado di costruire mondi e sogni.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

3