Lost in Starlight: recensione del film d’animazione Netflix

Lost in Starlight, una perla d'animazione su Netflix: la love story spaziale che emoziona anche il pubblico più inamovibile!

Nel panorama dell’animazione contemporanea, Lost in Starlight arriva come una cometa imprevista: luminosa, poetica, e capace di risvegliare in chi guarda una nostalgia struggente per qualcosa che ancora non è stato vissuto. È un film che si muove in punta di piedi tra i generi — fantascienza, romance, slice-of-life — senza mai cedere alla tentazione della spettacolarità fine a sé stessa. Diretto dalla visionaria Han Ji-won, l’opera è la naturale evoluzione di un breve spot pubblicitario realizzato nel 2018, e oggi sboccia pienamente in questo lungometraggio distribuito da Netflix, pronto a sedurre un pubblico adulto alla ricerca di qualcosa di più intimo, autentico, e profondamente umano.

Lost in Starlight: tra Seoul e Marte due cuori in orbita

La storia di Lost in Starlight ruota attorno a Nan-young, una giovane astrobiologa determinata e idealista, la cui missione scientifica verso Marte è anche un pellegrinaggio personale: sua madre, infatti, è scomparsa nel corso di una spedizione sul pianeta rosso nel 2026. Venticinque anni dopo, quella ferita ancora aperta si fonde con la passione di Nan-young per la botanica e il desiderio di far fiorire l’Adonis amurensis su un suolo alieno. A darle voce sono le intense interpretazioni di Kim Tae-ri nella versione coreana e Maitreyi Ramakrishnan in quella inglese.

Il suo incontro con Jay, musicista ferito e rifugiato in un negozio di riparazioni vintage, è quanto di più semplice e potente il cinema romantico possa offrire. Non c’è nulla di urlato, nulla di forzato: solo un vecchio giradischi da riparare, una canzone che tarda ad arrivare, e due anime che si riconoscono nel silenzio. Jay, doppiato da Hong Kyung e Justin H. Min, è l’archetipo dell’artista che ha smesso di credere in sé stesso, ma non nella bellezza degli altri. In Nan-young vede una costellazione intera — e decide di seguirne la traiettoria, anche se lo porterà solo fino al limite dell’atmosfera terrestre.

Una fantascienza dell’anima

Non aspettatevi da Lost in Starlight l’accuratezza ingegneristica di The Martian o il survivalismo di Interstellar. Qui lo spazio non è ostile né crudele, ma metaforico. È la distanza che separa ciò che vorremmo essere da ciò che siamo, il vuoto tra un ricordo e una speranza. L’animazione, fluida e ricca di dettagli minuziosi, si fa strumento di introspezione e non di esibizione.

Le sequenze ambientate su Marte sono splendide visioni astratte: fiori gialli che esplodono in stanze sterili, sogni che diventano ecosistemi, la galassia che si trasforma in un disco di vinile in rotazione — memoria, amore, morte e rinascita compressi in un solo gesto poetico. La mano di Han Ji-won si sente forte nella delicatezza: ogni fotogramma è un quadro, ogni dettaglio (dal poster sbiadito nella stanza di Jay alla tazza con la foto di famiglia nel soggiorno del padre di Nan-young) racconta una storia dentro la storia.

Un amore in sospensione

Ma è sulla Terra, in una futuristica Seoul del 2051, che il film tocca le sue corde più sincere. La città, pur attraversata da ologrammi giganti e taxi autonomi, è sorprendentemente familiare: un incrocio tra le metropoli malinconiche di Shinkai e l’estetica retrofuturista di Her. Han riesce a bilanciare con grazia l’altissimo con il quotidiano: un cielo notturno invaso da meduse luminose e, poco sotto, un paio di scarpe sfilate con fatica alla fine di una lunga giornata.

E nel mezzo, la musica. Il cuore pulsante del film è una colonna sonora elettro-dolce firmata da nomi come CIFIKA, Meego e Kim Daniel dei Wave to Earth. Le canzoni composte da Jay — in parte scritte dagli stessi doppiatori — sono sussurri nell’etere: malinconiche ninna nanne cosmiche, capaci di parlare a chiunque abbia mai amato in silenzio, a distanza, nel tempo o nello spazio.

Un piccolo miracolo dell’animazione coreana

Lost in Starlight rappresenta anche una tappa cruciale per l’industria animata sudcoreana, spesso conosciuta all’estero solo per il suo lavoro di outsourcing o per produzioni infantili. Qui, invece, si respira il coraggio di una narrazione adulta, matura, ambiziosa. Han Ji-won — già nota per Clearer Than You Think — si conferma come una delle voci più promettenti dell’animazione asiatica, un’ideatrice che non ha paura di essere fragile, femminile, e profondamente autentica.

Nel corso del film, Nan-young dice che “la vita non si misura solo con ciò che trovi, ma con ciò che lasci dietro”. Lost in Starlight non ci lascia solo un film, ma una sensazione: quella di aver vissuto un amore così grande da superare la gravità, così piccolo da contenersi in un giradischi rotto, così reale da sembrare nostro.

Conclusione e valutazione

In un’epoca in cui tutto corre veloce, Lost in Starlight ci invita a rallentare. A guardare le stelle non per fuggire, ma per ricordarci da dove veniamo. E forse, per capire che l’amore — quello vero — non ha bisogno di condividere il presente, ma solo la stessa orbita emotiva.

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Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 5

4.2

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