Lo Spartito della vita (Sterben): recensione del film di Matthias Glasner
Un'opera che affronta la morte per insegnarci a vivere.
Sterben (morire) non è solo un verbo. È una condizione, un’attesa, un processo. E Matthias Glasner la mette in scena come fosse l’unico linguaggio possibile per raccontare vita. Lo spartito della vita (titolo italiano dell’originale tedesco Sterben, appunto) presentato alla Berlinale e nelle sale italiane dall’11 settembre 2025 con Satine Cult (il label di Satine Film dedicato alle voci più audaci, coraggiose e originali del cinema contemporaneo), racconta le vicende, i legami, le distanze e i tormenti della famiglia Lunies. Attraverso il racconto della morte che bussa alle porte, con i suoi tempi e le molteplici forme, l’opera fa emergere traumi, rancori e fragilità, ma anche – sorprendentemente – momenti di profonda e grottesca ironia che caratterizzano l’esistenza umana. La narrazione si sviluppa in cinque capitoli, intervallati da nascite, funerali e prove musicali che riflettono sul confine impercettibile tra vita e morte, seguendo la quotidiana malattia di Lissy e Gerd e le vite dei loro figli Tom, triste e tormentato direttore d’orchestra, ed Ellen, igienista dentale dipendente dall’alcool e dalle relazioni tossiche.
La regia e la sceneggiatura di Matthias Glasner portano in scena la vita

Matthias Glasner firma sia la sceneggiatura sia la regia, offrendo un’opera chiaramente autobiografica: la malattia dei genitori e le tensioni familiari raccontano la propria vita, come ha esplicitamente dichiarato. La durata di tre ore e la divisione in atti consentono di respirare la complessità delle relazioni e dei temi esistenziali. Il ritmo volutamente lento, a tratti estenuante, diventa parte del messaggio sull’inevitabilità del declino e sulla fatica dell’arte nel raccontarlo. Glasner dirige con freddezza nordica e mai indulgente, evitando sentimentalismi e mostrando il dolore con un’ironia nera che oscilla tra l’assurdo e il tragico.
Il film, vincitore dell’Orso d’Argento per la migliore sceneggiatura alla Berlinale 2024, mostra una scrittura stratificata ed emotivamente carica. Dialoghi taglienti emergono in momenti di rottura emotiva tra i personaggi, soprattutto tra madre e figlio, dove tensione e rivelazione si mescolano. I cinque capitoli scanditi da titoli e colori disturbanti diventano metafore della disgregazione familiare e della vita che si consuma tra arte e morte. Lo script esplora temi come rimpianti, alcolismo, paternità surrogata, edipicità e rimorsi non detti. Se la vita è un’opera-uno spartito musicale, Glasner ci mostra come, spesso, il gran finale sia scritto dalle mani tremanti ( e orchestranti) di chi resta.
Lo Spartito della vita, tra immagini e musica: un’opera minimalista e commovente

La fotografia di Jakub Bejnarowicz gioca un ruolo essenziale: visivamente sobria, senza virtuosismi, punta su angoli secchi e colori spenti che amplificano la sensazione di disconnessione familiare. Manca, però, di un linguaggio visuale unico e riconoscibile: l’assenza di stile distintivo rende ogni segmento non realmente memorabile.
La colonna sonora di Lorenz Dangel è cruciale: il tema di Sterben si fa a tratti minimalista, a tratti grandioso, e culmina in un assolo di violoncello che condensa le tensioni emotive della famiglia, suscitando commozione. Il film ha ottenuto il premio della migliore colonna sonora ai Deutscher Filmpreis 2024. La musica riflette sulla linea sottile tra arte e vita: essa cerca di interpretare la morte, ma anche di elevarla in forma espressiva, tra ironia, dramma e speranza.
Un film corale dal cast d’eccellenza
Il cast è di livello eccezionale: Corinna Harfouch in Lissy offre una performance sobria ma potente, risultando fredda e distaccata fino a rivelare una vulnerabilità straziante; Lars Eidinger interpreta Tom con la compostezza di un vero direttore d’orchestra, tessendo il suo distacco emotivo dentro l’opera. Lilith Stangenberg eccelle come Ellen, alcolista autodistruttiva, antieroina del dolore. Robert Gwisdek, nel ruolo di Bernard, regala momenti di straordinario tensione emotiva. La coppia Harfouch–Gwisdek porta sullo schermo anche un legame reale madre-figlio, che aggiunge un’ulteriore profondità extra-testuale alla loro interazione.
Lo Spartito della vita: valutazione e conclusione
Lo Spartito della Vita induce una gamma di emozioni contrastanti: dolore, angoscia, distacco, ma anche momenti grotteschi, sarcastici e inaspettatamente consolatori. L’ironia nera coesiste con la compassione impietosa verso una famiglia che sembra incapace di amarsi. La scena di Ellen che vomita durante un concerto, interrompendo la prima del fratello, è esemplare: cruda e surreale, rappresenta la collisione tra arte e imperfezione umana. Il film è un’esperienza emotiva intensa: un lavoro che induce a riflettere sul senso della vita e sul significato della morte, senza retorica, ma con polifonia di voci e una crudezza artistica che emoziona e scuote.
In definitiva, Lo spartito della vita è un’opera ambiziosa che mette in scena la morte per raccontare la vita come composizione. La vita, nei suoi eccessi, fragilità, errori e brevità, suona come un tema musicale dissonante: il film di Glasner traduce questo spartito in immagini, parole, suoni ed emozione. Un cinema che osa la durata, l’assenza di sentimentalismo e l’introspezione familiare con l’autorità di una sinfonia esistenziale.