Lasciarsi un giorno a Roma: recensione del film di Edoardo Leo

Con Lasciarsi un giorno a Roma Edoardo Leo cerca risposte nella liquidità irrealizzabile del presente quanto dalle generazioni passate.

Lasciarsi un giorno a Roma. Quando è freddo, quando piove. Quando gli abbracci fanno da spola tra una frase fatta (ma necessaria) e l’altra. C’è della poesia in ogni rottura, quella che Edoardo Leo cerca e assieme ignora in un film che sfida la difficoltà tra richiami sentimentali – innegabili al pubblico di un prodotto così – e le proposte di riflessione. Alla fine ci riesce, non cade. Anzi, è persino interessante, inaspettato, anche se un po’ troppo lungo. Come ogni rottura: inizia epica, e infine si trascina troppo in là. Lasciarsi un giorno a Roma, su Sky Cinema e NOW TV dall’1 gennaio 2022, è un racconto dolce che invita lo spettatore a ricordare le storie del proprio passato, e a riflettere quelle del presente.

“Ognuno di noi, nella propria vita, è stato uno di questi personaggi”, ci ha raccontato Edoardo Leo, che torna alla sceneggiatura e dietro la macchina da presa per una quinta volta. È stato il primo di tutti a ripartire, dopo la quarantena della primavera 2020. Ma invece di un film di amori che sbocciano, con le promesse di un futuro roseo, ha scelto per protagonista la fine: un “andrà tutto bene” stretto tra i denti di chi si è amato e, forse, non si vedrà più. Una scelta ambigua, che gioca con la possibilità di vedere in ogni punto una virgola, in ogni interruzione un a capo. La sua è una Roma ancora vuota, con qualche comparsa o poco più. Curata per un target anche internazionale, che di certo riconoscerà Piazza Navona e i numerosi monumenti che si impongono su schermo con molta (troppa) facilità. Il vuoto delle strade, semplice da ritrovare in quell’estate ancora quarantenata, è però una buona idea che accentua le nevrosi di coppie al lastrico della relazione, ossessionate da se stesse a tal punto da eliminare ogni sfondo.

Quanto è difficile Lasciarsi un giorno a Roma

Lasciarsi un giorno a roma Edoardo Leo - cinematographe.it

La storia di due coppie – da un lato Edoardo Leo e Marta Nieto e dall’altro Stefano Fresi e Claudia Gerini – prende anche una via semantica, una ricerca nelle parole a cui ci aggrappiamo nei momenti in cui l’amore sfida ad accettare, e infine lasciare. Sei sono i capitoli che alternano le vicende, e altrettante le parole che ne titolano gli eventi: abbraccio, poi fine, piano, sogno, accettare, lasciare. A ognuna una duplice lettura, perché Uno e assieme Due sono i soggetti che vivono la coppia: io e noi. E dunque l’abbraccio è l’incontro con l’altro, ma anche l’abbandono alla morte. Il fine è la meta, ma la fine è la conclusione. Edoardo Leo gioca coi personaggi come fossero parole e costruisce frasi che vorrebbe arrivassero a tutti come le verità dei poeti e scrittori – da Marquez a Montale – che lungo tutto Lasciarsi un giorno a Roma affida ai suoi protagonisti, incastrati in un tragitto che insegnare parole proprie.

Si inizia inevitabilmente dalla fine. Ponte Sisto, la pioggia, il pianoforte e De Gregori, alla cui Sempre per Sempre è dedicata una sequenza-videoclip. “Io ci sarò sempre per te, lo sai”. Gli elementi sono tutti al loro posto e già Lasciarsi un giorno a Roma è un titolo-atmosfera che lega la città alle sue atmosfere malinconiche e romantiche. Riavvolto il nastro seguiamo due sentieri, intrecciati solo dal rapporto tra i due protagonisti maschili: Edoardo Leo e Stefano Fresi. Amici dai tempi dell’università. Il primo, scrittore di professione ma costretto anche a una disprezzata rubrica per cuori infranti, vive da anni una relazione come tante, impostata sul pilota automatico e priva di fini (ma dritta alla fine). Il secondo è invece un bambinone quarantenne incapace di accettare che la moglie, Sindaco di Roma, non sia lì con lui come quando avevano vent’anni e sul pandino verde giravano la città tra film di Scola e scappatelle ai circoli comunisti. Claudia Gerini è davvero credibile nell’istituzionalità del Municipio romano, e dopo il Carlo Verdone in campagna elettorale di Vita da Carlo sorge il dubbio che la città abbia ormai rivolto le speranze al cinema.

Donne in carriera e uomini terrorizzati

Lasciarsi un giorno a roma Fresi Gerini - cinematographe.it

Ma a sfiorare il realismo è il terrore infantile che ammanta le figure maschili scritte da Leo. Hanno paura, una paura tutta contemporanea di essere scoperti nel loro non essere all’altezza di ruoli appassiti e mai davvero interpretati: quelli degli uomini al comando, che anche se non sanno nemmeno scegliere un vino denunciano l’abbandono di donne in carriera. Con una differenza: mentre il marito del Sindaco trascorre le giornate a lamentare solitudine e difficoltà coniugali, lei, che è donna presente in ogni senso – presente al tempo che rappresenta, presente alle sfide della figura femminile e presente nella riconfigurazione famigliare -, barcamena vita privata e istituzioni senza farne dramma personale. Lei c’è, ma l’accusa nell’immaginario tribunale delle coppie non sa vedere. E infatti parte di una tentata riconciliazione vedrà la Gerini giocare con gli occhiali di Fresi.

In un film tutto sommato semplice e lineare, che ricorda i “film sentimentali” di scuola anglofona, si affaccia una riflessione interessante sulla svolta dei generi che nell’ultimo, rivoluzionario, decennio ha investito ogni manifestazione culturale. Un cambio epocale da cui il cinema italiano sembra ancora impermeabile, come lo è d’altronde dalle svolte rappresentative dedicate alle questioni lgbtq+ o alle minoranze etniche. In realtà, Lasciarsi un giorno a Roma lascia a questi ultimi uno spazio in inquadratura, alternando le vicende delle coppie al ritrovo conviviale di un gruppo di amici tra i più vari. La coppia omosessuale, la bambina sbruffona che insegna agli adulti la terminologia del contemporaneo (perché è “nero” e non “negro”, spiega) e così via. Sono macchiette in un film che segue comunque una rappresentazione pressoché coerente con la storia del cinema italiano, e che anzi fa l’errore di non normalizzare le figure in questione affidandone il ruolo di consiglieri sospesi nel tempo ed estromessi dalle realtà quotidiane dei protagonisti. Ma pur seguendo una via già tracciata, Lasciarsi un giorno a Roma riesce quanto meno a rinnovarne le sfumature e le conseguenze. Il personaggio interpretato da Stefano Fresi è invitato a un interessante passo indietro, che significa d’altronde cessare il braccio di ferro tra sessi e porsi accanto alla partner.

Lasciarsi un giorno a roma Sky - cinematographe.it

Meno sociale, più intimista, ma comunque colta nel suo valore contemporaneo – dopotutto “personale è politico” – è la coppia di Edoardo Leo e Marta Nieto. Lei è una programmatrice di videogiochi spagnola, responsabile della filiale romana di un’azienda inglese. La sua ossessione: solo il 3% dei videogiocatori giapponesi di Space Invaders riuscivano, nel 1978, a giungere al boss finale e così vincere. Il gioco che sta programmando dovrebbe avere questo livello di difficoltà, la cui percentuale propone un’analogia della difficoltà di essere coppia e “vincere”. Se questo significhi stare assieme – nonostante tutto – o saper chiudere nel rispetto dell’altro, Leo non ce lo rivela mai del tutto. D’altronde i risultati delle sue due coppie protagoniste sono opposti. Marta Nieto convince anche perché il bilinguismo incerto – su cui il personaggio è retto – lascia un gioco di ombre su cui è difficile appuntare un giudizio totalitario. Dove invece Lasciarsi un giorno a Roma è completo è l’insieme dei singoli, ossia la coppia. Fresi-Gerini e Leo-Nieto sono ottimali per il discorso portato avanti, e la capacità di Fresi di narrativizzare il proprio corpo, che si pone in un primo piano autoironico che impone la persona sul personaggio senza tanti trucchi, è da lodare una volta in più.

Lasciarsi un giorno a Roma Claudia Gerini - Cinematographe.it

Edoardo Leo cerca risposte nella liquidità irrealizzabile del presente quanto dalle generazioni passate. Numerose sono le volte in cui sembra prediligere una ritorsione dei personaggi, un ritorno a un’arcadia dei sentimenti in cui – amiamo dirci – era tutto più facile. La coppia di vicini, interpellati singolarmente dal personaggio di Leo e da quello della Nieto, raccontano di coppie sopravvissute a nozze di ogni lega, brozo-argento-oro. Sembra che un tempo, nonostante quel 3%, la partita si vincesse. Ma a quale prezzo? La risposta salva l’anima a Lasciarsi un giorno a Roma, che anche con l’istituzionalità di Fresi-Gerini ama promettere allo spettatore un risvolto reazionario che, per fortuna, non realizza. Certo, avere due piste permette a Leo di non scegliere se le coppie siano destinate a resistere o a lasciare, ma perlomeno offre una pluralità che seppur non accetti, nel senso di tranciare, accetta la sfida narrativa. La duplicità semantica delle parole che dividono i capitoli è dunque la linea guida di Lasciarsi un giorno a Roma. Un storia di coppie al plurale. Perché tante – due protagoniste ma molte a contorno, come quelle affacciate ai convivi di amici che fungono da specchio per i nostri protagonisti – e perché varie.

Leo e Nieto raccontano di una grande terapia dei sentimenti, incastrati nell’incomunicabilità. Per via di un malinteso, Leo riceve alla rubrica di cuori infranti che cura all’insaputa di tutti una lettera della compagna. Inizia così un confronto segreto, in cui lei si rivela al partner, pensandolo uno sconosciuto capace di comprenderla. Leo corre ai ripari e tenta in ogni modo di sfruttare l’occasione per aggiustare le tubature della coppia. Ma non è un giro di vite a far riscorrere l’amore. E a volte i perché della fine sono l’ultimo dei fini di un racconto come questo, dedicato anche ai finali che giungono perché – come il libro scritto dal personaggio di Leo – ogni storia merita un punto. Pena il non essere scrittori veri, o ancora peggio: scoprirsi persone infelici. La felicità, l’altro tema – inaspettato – in un film di rotture.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 2
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 3.5

2.8

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