L’arma dell’inganno – Operazione Mincemeat: recensione del film con Colin Firth

"In ogni storia vi sono elementi visibili e altri nascosti. Questo è particolarmente vero nelle storie di guerra".

L’incredibile storia che John Madden ha scelto per il suo film non è nuova al grande schermo. Correva l’anno 1956, la guerra era finita da appena undici anni e i proiettori del Festival di Cannes si dipingevano di The Man Who Never Was. L’uomo che non è mai esistito è la sintesi perfetta per narrare l’Operazione Mincemeat. Perché è Weekend at Bernie’s, ma per davvero e durante la seconda guerra mondiale: l’uomo che non è mai esistito ed era infatti un cadavere ben vestito (ci arriviamo) che ha salvato tutti.

L’arma dell’inganno – questo invece l’insipido titolo scelto per la distribuzione italiana – arriva in sala il 12 maggio grazie a Warner Bros. Italia. La produzione è invece di See-Saw Films e Cohen Media Group, che imbastiscono un cast di grandi nomi promettendo un racconto spionistico capace di raccontare non solo l’evento che cambiò la guerra, ma anche gli spazi e i giochi preliminari alla nascita degli 007 come personaggi letterari tra fantasia storica e biografia.
L’arma dell’inganno – Operazione Mincemeat è un film con alcune inaspettate bizzarrie, specchio della miracolistica storia protagonista. Purtroppo non reggono a lungo e lasciano spazio a una struttura più comune e grossolana. Non tutto è però gettato in mare, e infatti il cast ha di certo qualcosa da dire in proposito.

Operazione Mincemeat, come ti imbroglio Hitler

L'arma dell'inganno - Operazione Mincemeat cinematographe.it

Grazie all’operazione Mincemeat, l’Intelligence Britannica si fece beffa di Hitler e sbarcò in Sicilia senza incontrare grande resistenza. È una vicenda incredibile, di quelle che sembrano un film ma che accadono per davvero quando il corso della storia si appende a un filo di telegrafo pronto a informare di qualunque possibile scenario. Per raccontarla al meglio, John Madden adatta il bestseller di Ben Macintyre e mette in primo piano Colin Firth e Matthew Macfadyen nei ruoli di Ewen Montagu e Charles Cholmodeley. Ma il vero protagonista è un altro. Il cadavere che cambiò il corso della Seconda Guerra Mondiale. Un eroe a sua insaputa, ex senzatetto la cui seconda possibilità arrivò troppo tardi per lui ma giusto in tempo per l’Intelligence Britannica.

L’operazione Mincemeat consistette infatti nel trasformare la morte di un perfetto sconosciuto nel cavallo di Troia con cui l’Inghilterra fece crede a Hitler di essere pronta a sbarcare in Grecia, così da spingere il Terzo Reich a lasciare la Sicilia scoperta.
Glyndwr Michael, questo il nome dell’uomo scelto, fu vestito come un soldato , riempito di false lettere che informavano delle mire inglese sulla Grecia e gettato di fronte alle coste spagnole nella speranza che i documentati truccati arrivassero nelle mani giuste.

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Tutto ciò è raccontato da Madden in due blocchi precisi e ordinati. Prima la composizione, poi l’attesa. Osserviamo Colin Firth e la collega Jean, interpretata con eleganza da Kelly Macdonald, costruire un grande racconto di finzione. Si improvvisano scrittori all’opera per il futuro del mondo. Per trasformare la salma di Glyndwr Michael in un soldato morto in mare serviva un nome falso, documenti inventati e persino una finta storia d’amore con un’amata in attesa: niente fu lasciato al caso per convincere i tedeschi della veridicità dei documenti trovati nella valigetta dell’uomo.

Il primo blocco è una grande prova, la preparazione allo spettacolo finale. L’arma dell’inganno – Operazione Mincemeat è divertente quando ci chiama ad assistere alla composizione di una delle fake news più importanti della storia dell’uomo. Ewen Montagu e Kelly Macdonald sembrano sceneggiatori: scrivono e cancellano, si chiedono “cosa farebbe il nostro soldato?”, lo testano con l’immaginazione, lo provano in ogni modo creando il personaggio perfetto. Sembrano arrivare a crederci, e noi con loro.

Il rilascio del cadavere nel mare apre a un altro film. Più silenzioso, agitato dall’attesa di conferme. La prova dei fatti è meno coinvolgente della loro meticolosa costruzione e rivela personaggi che non ci eravamo accorti essere così fragili. Le questioni di coppia tra Ewen e Kelly, con un terzo polo escluso e dunque pericolosamente geloso rappresentato dal collega Charles, non sembrano di grande interesse. Il problema di Madden è nella gestione di un soggetto che in realtà dall’attuazione di Mincemeat in poi non riserva sorprese.

C’è solo un momento in cui in sala crediamo che qualcosa possa non funzionare, ma è il sussulto di un meccanismo che non si arresta mai per davvero. In questa storia di spie viene a mancare la tensione che quel febbrile gioco di imbrogli iniziale aveva concesso.

Spionaggio, narrazione e Ian Fleming

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Non è un caso che la voce narrante sia di Ian Fleming, ufficiale della Royal Navy che assistette all’operazione e che è a noi noto per essere diventato poi lo scrittore di 007. Giochiamo a immaginarci nella stanza con il papà di James Bond, nutrendoci degli eventi che lo condussero alla fortunata creazione.

John Madden sembra divertirsi con questo personaggio, che incontra uno dopo l’altro i volti che solo poi diventeranno materiale letterario e oggetto dell’immaginario collettivo. C’è M, che scopriamo essere così etichettato da Fleming “perché sembra cattivo come mia madre”, la sezione Q, con i suoi gadget di cui osserviamo solo un piccolo ma significativo “orologio con sega circolare”, e ovviamente l’idea stessa – l’archetipo incarnato – della spia.

Al di là dei richiami alla figura storica di Fleming, che di certo emozionano gli appassionati, è il valore di questa presenza a dare un quid inaspettato a L’arma dell’inganno – Operazione Mincemeat. La guerra, che è bombe, morte e tragedia tangibile, è anche una storia raccontata. L’intelligence britannica ne riservò una falsa per Hitler, che ci credette e firmò così la propria fine. Prima che soldati, agenti o ufficiali, ci sembra di osservare dei teatranti, che difatti fanno ciò che ai creativi è permesso mentre a chiunque è precluso: mettono fine alla morte, dipingono su un volto in decomposizione e armano una salma a difesa del mondo. Un discorso che è poesia solo finché non si ascolta l’epilogo dell’Operazione Mincemeat, vittoria dell’artificio, del gioco (che è doppio, triplo, come si deve a una buona spy story) e dell’invenzione di ciò che non esiste ma cambia i destini del mondo.

In ogni storia vi sono elementi visibili e altri nascosti. Questo è particolarmente vero nelle storie di guerra.

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L’arma dell’inganno – Operazione Mincemeat non stanca e non disturba. Emoziona per una prima parte e poi avanza di rendita. Il cruccio è ancora lo schema da film storico che cerca in ogni modo di sembrare il racconto definitivo dell’evento che ha cambiato tutto. Sappiamo già che alla fine l’immagine andrà al nero e appariranno delle lunghe scritte a confermare veridicità, importanza e ruolo di quanto narrato.

Il dejavu di sensazioni è servito, ma è meno problematico dei tentativi di Madden di variare e impreziosire la biografia con un colorito umano che non convince mai davvero. Colin Firth è giusto (non rimane impresso ma non sbaglia) ma porta il peso di un personaggio che ha troppe direzioni e non si incammina mai.

Il fratello spia russa (interpretato da Mark Gatiss, che assieme a Penelope Wilton completano la quota di attori rubati a Sherlock) è un tema in agguato ma che per qualche ragione non trova estuari, così come il rapporto con la moglie trasferitasi in America e l’accenno di amore con Kelly.

Più di tutto, a turbare – ma anche affascinare – è il doppio registro che appartiene al film come all’operazione raccontata: perché certo che il destino del mondo si era impropriamente affidato a un ultimo tentativo, ma certo è anche che quell’idea era talmente balzana e insospettabile da avere risvolti cabarettistici. Il film vorrebbe dunque ridere delle foto al cadavere, divertirsi con la costruzione di una grande menzogna e al contempo non dimenticare che in corso c’è una guerra, che tutto potrebbe andare male e che quando queste bombe cesseranno si cambierà soltanto fronte.

Li osserviamo tutti questi elementi, non sempre come Madden avrebbe forse voluto farceli arrivare. Curioso che il tutto si chiuda su un’inquadratura bassa della tomba di Glyndwr. Come a chiudere il discorso e non lasciare spazio a nient’altro. Scelta peculiare per un film dedicato a un’indubbia vittoria, come se fino all’ultimo Madden non avesse saputo decidere il tono della sua storia.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

3