L’anello ritrovato: recensione del film di Alessandro Celli

Una storia vera toccante, ma dalla messinscena piuttosto manchevole.

In occasione della Giornata della memoria, Rai Kids propone una storia vera che si unisce all’animazione e alla fantasia. Amicizia e misteri fanno da cardine a L’anello ritrovato dalla durata di poco più di trenta minuti. Fra il passato e il tempo presente, alla ricerca della storia che si cela dietro un misterioso anello. Un prodotto destinato al pubblico più giovane, ma che difficilmente troverà efficacia nel suo messaggio. Ci si perde molto nei dialoghi stucchevoli e dalle scelte di trama poco efficaci, se non addirittura sterili.

La credenza che ad un pubblico più giovane bastino sceneggiati scritti velocemente, senz’animo e senza coerenza narrativa è un errore grossolano, e il pubblico di giovanissimi in sala ne ha dato la conferma. Ciò non toglie che la storia tratta abbia un grande valore, sia dal punto di vista storico, cioè le vicende del “Ricatto dell’oro”, che della memoria stessa dell’Olocausto.

L’anello ritrovato, il racconto di un amicizia

l'anello ritrovato - Cinematographe.it

La storia racconta di due amici ritrovati, Cecilia e Davidi, interpretati rispettivamente da Mariandrea Cesari e Liam Mario Nicolisi, per i festeggiamenti del Bar Mitzvah di quest’ultimo. I due trovano un anello con le iniziali G.M. incise sopra, senza riuscire a darsi una spiegazione di chi possa essere l’effettivo proprietario. Qui si mischiano scene reali, in presa diretta, a sequenze di animazione che narrano del passato vissuto da Giacomo Moscati, il proprietario dell’anello e Samuele Pontecorvo, suo amico d’infanzia. I fatti si svolgono in una Roma curiosamente desertica. Non c’è un passante o una macchina. I suoni del traffico sono assenti e tutto ha un’aria di sogno e magia. Breve coinciso storico: nel Settembre del 1943, prima dell’occupazione tedesca di Roma, Il capo della Gestapo a Roma, Herbert Klapper, emise un ultimatum alla comunità ebraica: consegnare in 36 ore 50kg d’oro, al fine di evitare la deportazione di 200 ebrei. La cifra venne raggiunta, ma nella mattina del 16 Settembre più di mille ebrei vennero deportati direttamente nei campi di concentramento. Alla fine della guerra, solo sedici persone tornarono indietro da quel rastrellamento e fra i tanti che morirono nei campi di concentramento vi è anche Giacomo Moscati.

Le scene ambientate nel ’43 hanno animazioni piuttosto semplici, senza dialoghi di alcun genere. Non che sia un male, anzi nel complesso hanno la loro pregevolezza. Senza infamia e senza lode. Da rendere noto che magari qualche dettaglio in più nei disegni avrebbe dato un sapore più radicale alla storia. Alla ricerca della verità faranno capolino luoghi importanti per la comunità ebraica, come ad esempio il Museo Ebraico e l’Archivio Storico della Comunità. Per i protagonisti si rivelerà un viaggio alla scoperta del valore dell’amicizia e della fratellanza. Legami saldi e indissolubili anche nel tempo.

Il ricatto, ma anche affetti e legami

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Un intreccio ricco che merita sicuramente approfondimenti, ma che viene trasposto con poca metodica e con il solo interesse di comunicare un messaggio. La memoria è una questione seria, che va affrontata e discussa per mantenere vivo il legame con il passato, soprattutto alle generazioni che via via si allontanano cronologicamente dai fatti. Non è sbagliato portare una storia leggera per accompagnare una narrazione tragica come questa. I problemi principali sono nella direzione e nella scrittura. Credere che un pubblico più giovane non percepisca quelli che sono buchi di trama, incongruenze o scelte registiche discutibili è un errore colossale. Si apprezza sicuramente la ricerca, piuttosto accurata grazie al patrocinio della comunità ebraica, che è stata portata avanti per descrivere la complessa cerimonia del Bar Mitzvah, ma purtroppo non basta a sigillare il film come di alto pregio.

La macchina da presa si perde spesso nella sua intenzione di spiegare, mentre non cerca mai di narrare. I campi e controcampi specialmente si mostrano frettolosi, senza un oggettivo categorico da seguire. Quest’incertezza nelle riprese, che spesso indugiano erroneamente su qualcosa con il solo scopo di metterla il più possibile in risalto, da al film un’estetica di basso grado. Intere sequenze non sono spiegate in maniera realistica, mentre altre si lasciano fin troppo alla descrizione. I dialoghi (con una sceneggiatura scritta da Simona Ercolani, Tancredi Maria Anzalone, Filippo Gentili e Angelo Pastore) si attorcigliano eccessivamente a concetti che potrebbero essere riassunti con molte meno linee di dialogo. Questo non aiuta nelle interpretazioni dei protagonisti che, anche data la giovanissima età, hanno moltissimo da imparare ancora.

L’anello ritrovato: valutazione e conclusione

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Nell’età scolare i bambini, al contrario di quanto si possa pensare, hanno una grande capacità critica. Si iniziano a formare quelli che poi saranno i gusti (estetici, di generi e via dicendo) e soprattutto la curiosità insita nella mente di un bambino, lo porterà inevitabilmente alla ricerca del “trucco” dietro la macchina da presa e a porsi domande critiche sulle visione. Il soggetto scelto non ha nulla di male nel suo complesso, non si va a criticare l’idea in se, che per quanto sia molto semplice ha la sua funzionalità. La problematica sta nella cura della trasposizione dello stesso. Ci vuole quasi la stessa cura che si ricercherebbe in un cinema “per adulti”. Il tema è importante e va trattato. L’anello ritrovato ci riesce, questo lo dimostrano le molteplici domande rivolte al regista e agli interpreti alla fine della proiezione. Le stesse domande però denotano una certa svogliatezza nel dare al futuro pubblico di domani, quell’intrigo che invece è quasi obbligatorio nel cinema. In onda Venerdì 26 su Rai 3 alle 16 e Sabato 27 alle 17,50 su Rai Gulp, prodotto da Stand by me, Lynx Multimedia Factory e Rai Kids.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 2.5

2.1