L’amore che ho: recensione del film su Rosa Balistrieri
Rosa Balistrieri è un simbolo politico e un modello culturale e sociale da non dimenticare.
Paolo Licata torna sul grande schermo a cinque anni di distanza dal suo primo lungometraggio Picciridda – Con i piedi nella sabbia, firmando, con L’amore che ho, la seconda collaborazione con attrici come Lucia Sardo e Tania Bambaci, rispettivamente nei ruoli di Rosa Balistrieri e della figlia Angela. Rosa, nei suoi anni di vita, viene anche interpretata da Anita Pomario e Donatella Finocchiaro, da adolescente e adulta, dando modo così di raccontare la sua intera esistenza. Liberamente tratto dal libro L’amuri ca v’haiu di Luca Torregrossa, L’amore che ho è un racconto musicale e audiovisivo di quella che è stata la vita di Rosa Balistrieri, non solo della sua musica, ma di tutte le gioie e i dolori che hanno caratterizzato un’esistenza difficile, complessa, fatta di tradimenti, sofferenze, solitudine e soprattutto di lotte. Con nel cast anche Vincenzo Ferrera, Emanuele Del Castillo, Loredana Amarino, Katia Greco, Martina Ziami, Marta Castiglia, Giovanni Carta e Mario Incudine e con le musiche di Carmen Consoli, L’amore che ho è al cinema dall’8 maggio 2025 distribuito dalla Dea Film.
L’amore che ho è un film denso di eventi e denso di musica

Se il rischio o la possibilità era quello di ritrovarsi di fronte a un classico biopic, la vita e la complessità dell’animo di Rosa Balistrieri rendono L’amore che ho un film capace di parlare di umanità, di comunicazione, di maltrattamenti e violenza di genere, nella cornice di un patriarcato tragicamente esistente ancora oggi. Chiamata la “cantatrice del sud” e “la voce dalla Sicilia” la storia di Rosa Balistrieri meritava di essere raccontata, cercando di farlo nella sua interezza, partendo da un materiale estremamente ampio, attraversando un periodo che ha visto il mondo e l’Italia cambiare profondamente. Le delusioni, le difficoltà, gli abusi, le paure e anche i successi di una donna come Rosa vengono narrate con cura, attraversa una struttura a flashback, con una continua rievocazione di ricordi spesso dolorosi. Ma non si alterna solo passato e presente, dove il passato è infanzia, adolescenza ed età adulta e il presente quello degli ultimi anni della vita di Rosa, perché Paolo Licata sceglie un tono misterioso, un senso di scoperta che include alcuni drammatici momenti dell’esistenza di Rosa.
Dettagli scabrosi e torbidi riaffiorano nella parte finale, a precisare, senza omettere nulla, cosa realmente nasconde il passato di Rosa. Quanto male le è stato fatto, quanto ha perso e quanto ha sofferto, ma soprattutto quanto le possa essere costato reagire, qualcosa che per lei era inevitabile. Quella di Rosa è una resistenza prima silenziosa, poi fatta di reazioni e di eccessi, e che erano l’unico modo per combattere. Un diritto e una libertà che Rosa ha cercato di conquistare prima a parole, ma che nella Sicilia degli anni ’40 aveva bisogno di fatti. Rosa Balistrieri riesce a sfuggire a un futuro già scritto, per lei come per la sua famiglia, dove la sua presenza è quella forza invisibile che dà modo a chi aveva accettato quel destino, di tentare di cambiarlo. Rosa è prototipo, modello e paradigma di una ribellione femminile dell’Italia meridionale del secondo dopoguerra, marchiata dalla povertà e dalla legge del silenzio. Nell’ambiente sociale e culturale di una Sicilia popolare e oppressa dove tutti erano complici e partecipi di una condizione che solo Rosa ha tentato realmente di sfidare. Sapendo che il massimo non sarebbe bastato. Trovando il coraggio di andare oltre.
Rosa Balistrieri è un simbolo politico e un modello culturale e sociale da non dimenticare

In L’amore che ho, pur non essendo un biopic, tutto è musica, tutto sono le canzoni di Rosa che nei suoi pezzi parla di dolore, miseria, sfruttamento, mafia e libertà, dell’estrema violenza della quale è stata vittima, dando voce a chi non ne aveva . La narrazione non cronologica si rivela così architettura di un film che nel male che racconta è esuberante, che nell’interiorità della sua protagonista è infuocato e che nelle smisurate difficoltà della vita della protagonista è un turbinio di emozioni, una cascata di energia, una raffica di sensazioni diverse. Così come la Rosa bambina è estasiata di fronte alle dita dei cantastorie che si muovono armoniose ondulate sulle corde di una chitarra, nella melodia che un racconto parlato e cantato crea nelle menti e nelle viscere dei suoi interlocutori. La Rosa adolescente è ironica e piena di vita, non ancora pronta alle costrizioni che la porteranno a sfidare le regole del suo tempo. Rifiutando di essere definita solo come moglie e madre, la Rosa adulta vive negli anni ’60 e ’70, accogliendo gli impetuosi e turbolenti cambiamenti sociali e culturali dell’epoca.
Un periodo storico fatto di irrequietezza, preoccupazione, ma anche di grandi sogni e valori, e dove le battaglie di un singolo diventavano di una moltitudine, iniziando a farsi sentire. Fino a una Rosa che appare stanca e disillusa, ma che ha ancora molto da dire. Che tenta di ricucire un rapporto fatto a brandelli negli anni. L’amore che ho lascia commossi, impressionati e turbati, raccontando l’eredità culturale e musicale di una donna che attraverso la sua musica comunicava ciò che a parole non riusciva a dire, ma ciò che non poteva rimanere taciuto. Le canzoni di Rosa Balistrieri sono il ritmo di ogni fase della sua vita. L’amore che ho, nel continuo avvicendarsi di tempi diversi, è la Sicilia più rurale e agreste illuminata dal sole, dove i colori sono tenui e delicati, ma spenti ; le riprese si concentrano su spazi piccoli che ospitano interi nuclei familiari, locande dove padri, fratelli e mariti bevono fino a tarda notte, tra l’euforica concitazione dell’alcool che ottunde i sensi e le nuvole di fumo che offuscano occhi e menti. Tutto si colora così del grigio delle case in pietra, del marrone dei mobili in legno e del verde chiaro dei campi.
Differenze e violenza di genere non si esauriscono mai arrivando fino ad oggi

Nell’atmosfera retrò degli anni del successo di Rosa tutto è più datato, vintage e démodé e dominano colori come il rosso, il verde scuro, il beige e il blu. Tinte accese che si diradano nella parte finale del film, dove si fanno più nitidi e dove le sfumature sono meno marcate, scurendosi e schiarendosi a seconda di ciò che rappresentano, concentrandosi sui colori base e sulla loro luce cromatica più comune. L’emancipazione di Rosa è una scelta di libertà dolorosa, che passa attraverso la solitudine, la paura, l’allontanamento dal contesto familiare, dove aveva subito maltrattamenti, e dal quale si era sentita abbandonata. Da quello stesso che fa però, a volte, percepire un affetto sincero, profondo, intaccato da una società patriarcale che gli uomini non volevano rinnegare. L’amore che ho è vigoroso, accecante, vivo e tumultuoso come gli anni che racconta, inquieto, sordido e violento come è stata la vita di Rosa, dove il ruolo della donna, il dominio maschile e l’ossessione del potere mostrano una Storia che si ripete.
L’amore che ho: valutazione e conclusione

L’approccio documentaristico del film ricorda sicuramente il biopic, ma c’è una grande attenzione all’oggettività dei fatti che evita con volontaria sicurezza tecniche di ripresa eccessivamente artificiose, che non avrebbero conferito quel profondo realismo e quella a volte cruda veridicità della storia. Se L’amore che ho è Rosa, è musica ed è racconto, è anche riproduzione autentica di un mondo, di un momento storico che rende il film informativo e coinvolgente. E che nell’effettivo, reale e veritiero ha anche una sua chiave più enfatica, soggettiva e soprattutto appassionata. Interamente recitato nel dialetto siciliano L’amore che ho è anche una fotografia di epoche diverse, che si muove dall’arretrato e povero paese di Licata degli anni ’30, alla moderna, intellettuale e liberale Firenze, dove tra gioie e dolori Rosa può finalmente urlare le proprie proteste. Dalla parte dei lavoratori, dei più deboli e di tutti coloro che, già provati dalla fame e dagli stenti, sono sempre stati il gradino più basso della società. Con quattro attrici che interpreto quattro Rosa diverse e uguali, si descrivono e raccontano vicende e tematiche, storie e vite, cercando di trasmettere tutto ciò che Rosa Balistrieri è stata e può essere ancora oggi per le generazioni del futuro.
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