La Stanza: recensione del film con Edoardo Pesce

Disponibile dal 4 gennaio su Amazon Prime Video, La Stanza di Stefano Lodovichi unisce thriller, horror, dramma e sci-fi avanzando un'interessante riflessione sul rapporto tra genitori e figli.

Quando parla de La StanzaStefano Lodovichi cita Dracula. Non il testo di Bram Stoker, ma la sceneggiatura di Francis Ford Coppola. “Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti”. Verrebbe da chiedersi quanti film italiani possano associare questa battuta alle proprie storie, senza ricorrere alla metafora. La stanza, invece, può essere letterale. Perché pur mettendo radici nel dramma familiare tanto caro al nostro cinema, Lodovichi riversa il thriller nell’horror, senza lesinare elementi lontanamente sci-fi. I numerosi plot twist che si susseguono nel film devono molto al cinema di genere, persino nei risvolti chiave delle vicende.

Girato in tempi record (due settimane), e nel difficile rispetto delle norme anti-covid, La Stanza è una produzione che rispecchia i tempi che stiamo vivendo. Anche per la tensione costruita in quattro mura. Spazi ampi, tre attori, nessuna comparsa. Elementi che si fanno soggetti e concorrono alla creazione di una piacevolissima atmosfera (si fa per dire: è pur sempre un horror) da Home Invasion. L’invasore non è però un ladro o un serial killer qualsiasi. Quando Stella (Camilla Filippi) apre la porta d’ingresso a Giulio (Guido Caprino) è evidente che qualcosa non torni: perché quest’uomo sa così tanto di lei? Forse è uno stalker, sicuramente un sadico, ma anche di più. Non compare in un momento qualsiasi, bensì un attimo prima che Stella, indossato l’abito da sposa e protesasi al balcone, tentasse il suicidio. La ragione ha un nome, Sandro (Edoardo Pesce). L’ex marito che anche lo strano Giulio sembra conoscere bene, troppo bene.

La Stanza: un’ambientazione misteriosa

La Stanza cinematographe.it

La grande villa Liberty in cui si ambienta La Stanza è forse il più misterioso dei protagonisti. Mentre una pioggia incessante la bombarda (la tempesta parla come in un film di Ridley Scott), veniamo privati di ogni possibilità di cogliere l’effettiva dimensione dell’edificio. Siamo sempre dentro, a ricucire i corridoi con le stanze, anche per capire dove si svolgerà l’evento successivo, l’ennesimo cambio di rotta che trasforma Giulio in uno psicopatico alla Jack Torrance di Nicholson o alla Ash Williams di Bruce Campbell. I muri crepati, i cambi di stile, con le linee morbide del corrimano spezzate dalla rigidità dei mobili, costruiscono una casa che vive (e soffre) lungo il film. Al suo centro infatti qualcuno, nascosto, respira con lei. È il vero protagonista, il figlio di Stella nascosto e recluso nella sua stanza.

Nell’evolversi delle vicende si comprende bene come Stefano Lodovichi abbia trasformato un documentario dedicato agli Hikikomori in un film di genere, se possibile ancor più efficace di ogni pedissequa spiegazione del fenomeno. Il giudizio, di società ma anche universale, riguarda il rapporto tra genitori e figli, con uno scambio di colpe che dinamizza il film giustificandone gli eventi. Nel lungo elenco di sbagli che Stella e Sandro si affibbiano riemerge il dramma familiare e psicologico, ma l’elemento di genere trattiene la recitazione dei tre attori variandone continuamente le reazioni.

La Stanza cinematographe.it

La Stanza riesce a escludere lo spettatore dai propri intenti

La Stanza non urla gli obiettivi: ora si parla di crescita interrotta, ora di genitori falliti. Sceglie una via più difficile, in cui per altro deve (in)trattenere lo spettatore senza fargli abbandonare la pagina Amazon Prime Video. Il film di Lodovichi si concede man mano, incastrando i tasselli di una riflessione diluita nelle sequenze. A volte esaspera una certa ricerca ossessiva del momento-icona, in cui ogni inquadratura è insistita sul giusto ordine formale tra un corpo steso a terra e i chiodi arrugginiti del pavimento in legno. Eppure, La Stanza tiene le fila di una certa autorialità cresciuta nel cinema americano dagli anni ’80 in poi. Vero trait d’union è però Guido Caprino, sul cui corpo il film esercita ogni forza, riuscendo, anche in virtù di quegli echi sci-fi, che lasciamo scoprire allo spettatore, a renderlo assieme boia e martire. Allo spettatore, come sempre, il giudizio finale sulle scelte, e le ragioni, di ogni protagonista. Anche se non sarà difficile sentirsi vicini un po’ a uno e un po’ all’altro, anche a seconda che si sia ancora figli o già genitori.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 3

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