La notte più lunga dell’anno: recensione del film con Ambra Angiolini

Dal 27 gennaio al cinema, La notte più lunga dell'anno è un film interessante e impegnativo, votato ai silenzi e a vicende che raccontino le ferite insanabili dei suoi personaggi

Oggetto strano, La notte più lunga dell’anno. Una strobosfera dalle lodevoli ambizioni: raccontare nell’arco tracciato dai crepuscoli crisi ed epifanie di esistenze umane che rasentano l’archetipo. C’è la cubista fuori età (Ambra Angiolini), il politico in cerca di redenzione (Massimo Popolizio), il giovane innamorato (Luigi Fedele) della Professoressa sposata e il gruppo di vitelloni impegnato nelle vuote scorribande di provincia.

In un tipico film italiano – fingiamo possa esistere una sorta di macrogenere definito da cliché e ridondanze -, queste infinite linee si incontrerebbero in un punto. Magari nella speranza di risanare i cocci con l’oro, come nel Kintsugi giapponese. In La notte più lunga dell’anno non è così, ogni storia è a sé e dunque a suo modo legata solo da assonanze, equivalenze, ritorni. Il punto d’incontro è così un mero riferimento attorno cui Simone Aleandri – qui alle prime armi con un lungometraggio di fiction – può girare e rigirare alla ricerca di una storia che non c’è.

Più che eventi, fil rouge. Più che personaggi, anime. Più che storie, vite. Sono i temi, ma soprattutto le estetiche (dall’immagine al suono), a entrare in un conflitto armonizzato dal palco condiviso dai personaggi: Potenza.
Anche la città lucana è una piacevole sorpresa che Aleandri racconta di aver scoperto sul set di un documentario. Calata nel buio del solstizio d’inverno, quando la volta stellata non dà tregua a chi attende il giorno, si illumina di artificio: come la vita di questi personaggi. La stagione natalizia colma le finestre di luci lampeggianti, mentre il ponte che attraversiamo nell’incipit della vicenda è una lunga striscia a led che viene e va verso il nulla. Esiste solo il mondo illuminato dalle luci dell’uomo. Il resto, semplicemente, non si concede allo schermo, nonostante Aleandri alterni le vicende dei personaggi a lente retrospettive ambientali, colte nel segno da droni posti a osservare la città.

Ne ricaviamo un limbo, che è poi quello costruito dalla notte e permesso da Potenza, crocevia di altre città, luogo di passaggio escluso dal grande cinema e vissuto alla stregua di una campana in cui accade solo una vita circolare. Anche La notte più lunga dell’anno è un fenomeno circolare: inizia e finisce sotto il respiro incessante della pale eoliche, un movimento continuo che batte il ritmo degli eventi e segna la realtà dannata dei suoi protagonisti.

La fragilità di una notte

La notte più lunga dell'anno Ambra Angiolini Cinematographe.it

Questa poteva essere la mia vita se avessi fatto scelte diverse”ha dichiarato Ambra Angiolini commentando Luce, la cubista che anima la notte potentina nella scarsamente frequentata discoteca della città. Una dichiarazione che lascia adito a giudizi stantii sui suoi primi anni di carriera tra i fari Fininvest. Luce, invece, si guarda allo specchio: l’addome che lascia pieghe a ogni movimento rivela un’età diversa da quella voluta dal ruolo. Per cambiare vita ci vuole un evento, un incidente che a Potenza non sopraggiunge. In questa lunga notte d’inverno Aleandri concede giusto un’epifania, la consapevolezza del proprio sfinimento.

La notte più lunga dell'anno Massimo Popolizio Cinematographe.it

Il personaggio dona la propria estetica agli altri: la colonna sonora da discoteca segue a raccordo ogni evento, slacciandosi dalla sala da ballo e sovrapponendosi anche alle questioni morali del politico sotto giudizio. Massimo Popolizio lo recita con misura e sicurezza. “Il democristiano è ormai un genere cinematografico come il western”, racconta l’attore.

La notte più lunga dell’anno segue con convinzione l’idea che dirigere questo genere cinematografico che si avviluppa alla storia umana della DC significhi cucire un canone, lavorare su un’immaginario che riguarda l’italianità in senso stretto e la politica in senso ampio. Il suo personaggio cerca redenzione ma trova perdoni di circostanza, di forma: “siamo democristiani, perdoniamo sempre” gli ricorda il demiurgo a cui giunge nella notte in cerca di consiglio. Massimo De Francovich è una sorta di Emilio Colombo, Senatore DC padre di una generazione politica a cui insegnò tutto e da cui fu però posto in soffitta. “L’innocenza non basta”, riferisce al politico poche ore prima del suo arresto. Prima e seconda Repubblica si confrontano, comparando l’assenza di silenzi, di modi, di cura dei più giovani. L’arcadia della prima Repubblica fa sempre un po’ sorridere, soprattutto se si pensa a come si è conclusa una stagione politica lunga mezzo secolo. Ma c’è un lembo di realtà in questo incontro che è tanto freddo quanto dolce, lo stesso che intercorre tra guru e iniziato.

La notte più lunga dell'anno Nicolò Galassano Cinematographe.it

Simone Aleandri stuzzica lo spettatore con incroci impossibili e irrealizzabili. La notte più lunga dell’anno non vuole sporcarsi. Cerca in ogni modo di restare sul livello delle idee, delle trovate, dei simboli. Più lontane sono tra loro le vicende, più è lo spettatore a ricucire i vuoti secondo la partitura allegorica offerta da regia, fotografia e suono. La colonna sonora, che si vota alla disco music in un tributo appassionato a GigiDag, segue l’avvicendarsi delle ore confuse nella notte (chi sa mai se sono le 2 o le 4?) fino al sopraggiungere dell’alba, la cui dolcezza obbliga all’inversione pianistica, alla dolcezza dei bemolle. Nel mentre, tre amici di provincia rubano l’auto funebre del padre di uno di questi. La luce al neon dello spazio bara sfiora la finestrata dove Luce si dimena attendendo il giorno. La morte viaggia così tra le risate del gruppo, uniti da una promessa: da qui non si scappa. Quando qualcuno proverà a cambiare il patto, la provincia mostrerà i denti. Da qui non si scappa, per davvero.

La notte più lunga dell’anno è un film che riposa solo quando fa il pieno

La notte più lunga dell'anno Luigi Fedele Cinematographe

L’ultimo fantasma di questa notte è invece il giovane Johnny (Luigi Fedele), innamorato della propria ex Professoressa. Cacciato per l’arrivo del marito, è abbracciato nella notte dal freddo che gli bagna le ossa mentre guida mezzo nudo. Anche qui, l’impossibilità di cambiare. Ogni personaggio è un passero in gabbia. E nemmeno si sa chi sia il padrone. Amor vincit omnia, ma non qui. Non questa notte. Dove resta solo il tepore di una coperta allungata dal finestrino da un benzinaio sconosciuto ma parco di attenzioni. In un modo o nell’altro, passeranno tutti da lui. A interpretarlo è Mimmo Mignemi, ed è forse il personaggio più curioso del film; figura ibrida tra l’immaginato e l’estremamente reale.

“Io la vita l’ho solo vista passare”, ci racconta. Un crocevia che obbliga questa sequela di fratture e punti di sutura a fermarsi. A guadagnarne non è solo la vita dei personaggi, ma il film tutto. Quando siamo con il premuroso benzinaio possiamo dipanare la densità di anime proposte, e tirare le somme. Capire, insomma, di cosa parli davvero La notte più lunga dell’anno. Oggetto strano, dicevamo. Perché come una strobosfera affascina ma acceca, lasciando il dubbio ogni luce sia solo un gioco di riflessi. Fingendo di asciugare l’intreccio e di non condurre in alcun luogo, La notte più lunga dell’anno è invero un film che smania per i legami simbolici e le trovate universaliste, perdendo nel tragitto un’idea d’insieme che giunga, davvero, alla mattina seguente. Ci si perde di consueto nel film di Aleandri, indecisi sul perché queste vite riguardino anche noi. La risposta c’è, e anche di valore, anche se la rincorsa al grande significato sussurrato al neon – mentre GigiDag diventa poesia – esaspera l’intento rischiando di vanificarlo. Non possiamo però non riconoscere il coraggio di Aleandri. La notte più lunga dell’anno esce in sala e reclama uno spettatore attento, disposto a non farsi raccontare delle vicende ma a seguire delle vite, senza la promessa di un luogo in cui andare.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.2