La guerra di Cesare: recensione del film di Sergio Scavio
L'opera prima di Sergio Scavio, La guerra di Cesare, presentata in anteprima al Bi&st 2025, è una storia di riscatto sociale sincera, in sala dal 22 maggio 2025.
La guerra di Cesare è un film coraggioso, dallo sguardo unico e originale, quello del regista Sergio Scavio, che alla sua opera prima, infonde verità e anima ad una storia di ribellione fallita. Il film, in sala dal 22 maggio 2025 con RS Productions e Mirari Vos, è stato scritto da Sergio Scavio e Pier Paolo Piciarelli, e presentato al Bif&st – Bari International Film&Tv Festival ricevendo anche il Premio “Meridiana Migliore Attore Protagonista” per l’interpretazione di Fabrizio Ferracane. La storia è ambientata in un piccolo paesino minerario in grave declino economico, nel sud ovest della Sardegna. Qui, Cesare e Mauro, due grandi amici ed ex minatori, sopravvivono come guardie giurate all’interno di una miniera di carbone in disuso. Come due anime in attesa di giudizio, attendono speranzosi l’acquisizione della miniera da parte di un fondo cinese, ma purtroppo i dirigenti orientali rompono improvvisamente la trattativa e abbandonano l’isola. Tutti i sogni sembrano frantumarsi, le uniche speranze di futuro rigettate al suolo. Da qui il motore del film viaggia verso una ricerca di rivalsa e riconoscenza. Nel cast anche Alessandro Gazale, Luciano Curreli, Francesca Ventriglia, Sabina Zicconi, Antonello Grimaldi.
La guerra di Cesare è una favola amara, spietata, un ritratto di provincia abbandonata in cui si muovono dei personaggi in cerca di riscatto.

Nel film di Sergio Scavio c’è tanta umanità, soprattutto quella che fatica a immaginare un futuro migliore, relegata in contesti di provincia dove in mancanza di lavoro tutto diventa più difficile. I due amici reagiscono in modo differente alle avversità: Cesare è più remissivo, immobile, anche troppo secondo la moglie; invece Mauro ha un fuoco dentro che lo rende aggressivo, vulnerabile e rabbioso. Mentre Cesare si accontenta passivamente del lavoro di guardia giurata, Mauro non sopporta queste umiliazioni. Decide di farsi giustizia da solo, e nel tentare di dar fuoco ad un ufficio della miniera, commette un errore e perde la vita.
Questo tragico evento smuove la coscienza di Cesare. Finalmente guarda in faccia la realtà e si rende conto che la sua vita è ferma al palo: deve reagire, senza più lavoro e con un matrimonio in stato di fallimento, si mette in viaggio assieme a Francesco, il fratello problematico di Mauro. La meta è la città principale dove risiede l’azienda mineraria, l’obiettivo è presto detto: vendicare l’amico morto. Una volta arrivati in città, i due iniziano a fare una serie di esperienze che oltre a cementificare il loro rapporto, mettono in discussione i propri valori e credenze. Anche se per Cesare “il mondo era finito nel 1983”, la vita vera va avanti e non può ignorarlo.
Nel film di Sergio Scavio si balla tanto, si danza per non morire; il corpo diventa un tramite per sfogare i propri dolori e incertezze verso il futuro.

Come in un film di Jia Zhang-ke (I figli del fiume giallo), La guerra di Cesare è un film dove il corpo diventa motore di conoscenza e consapevolezza interiore. Cesare alleggerisce il cuore tramite il ballo, e quando incontra una donna che condivide la sua stessa passione, ecco che scocca la scintilla. L’altro che si riversa in te, ti comprende e ti accoglie con tutte le tue particolarità. È quello che avviene tra Lori e Cesare, una coppia apparentemente improbabile ma che regala a Cesare la gioia dell’innamoramento, e anche la tipica futilità degli amori impossibili. Lori è una donna in frantumi, sensuale ma anche inafferrabile, un oggetto di desiderio vitale, ma che sfugge continuamente perché destinata a perire lontana da occhi indiscreti.
Ma la pellicola è anche un racconto infarcito di situazioni grottesche e surreali di morettiana memoria. Scavio orchestra una serie di personaggi nello stesso tempo comici e tragici, drammatici e teneri. Ma non per questo distanti dalla realtà, anzi, tutt’altro, la realtà sembra addirittura troppo stretta per contenerli. Come la follia timida del fratello di Mauro, Francesco, in stato di venerazione nei confronti di Francesco Cossiga. Le sue fragilità e i suoi discorsi strampalati sono una espressione di sincerità e rarità.
La guerra di Cesare: valutazione e conclusione

L’opera prima di Sergio Scavio è una favola moderna che mette in luce temi complessi e articolati. Il tono scelto dall’autore è volutamente disincantato e personale, con una poetica che strizza l’occhio al cinema dei Fratelli Coen e del nostro Franco Maresco. Ne La guerra di Cesare si parla di diversità, inclusione, amore e, soprattutto, di perdita. La morte di Mauro è un lutto difficile da affrontare, il tonfo assordante dell’esplosione in miniera sembra rimbombare nella testa di Cesare continuamente. È l’amicizia che si mescola alla rabbia e a un dolore sordo, un punto di non ritorno dove tutto cambia. La vendetta di Cesare e il viaggio che affronta non sono altro che un modo per evadere dal grigiore della sua esistenza precaria.
Dentro Cesare c’è una vitalità che vuole esplodere, ma si sente compresso, ovattato in una dimensione che gli sta stretta, e solo la fuga gli regala attimi di ribellione. Scavio mette in scena una vita di provincia dove anche un piccolo cabaret glamour e improvvisato può diventare un palcoscenico per piccoli sognatori: maghi incapaci, comici raffazzonati, ballerini sgraziati che non cercano la perfezione. Anzi, nell’imperfezione dei loro passi mediocri alberga un potere immenso, quello di fregarsene del giudizio altrui. Tratto dal romanzo di Luciano Bianciardi, “La vita agra”, La guerra di Cesare è un film coraggioso che non ha paura di rischiare. Che senso dare alla propria esistenza quando tutto sembra finito? Ha ancora senso oggi una rivoluzione personale? Ed è proprio su questi interrogativi proposti che si nasconde il merito più grande del film.