La donna della cabina numero 10: recensione del film Netflix
Keira Knightley guida con eleganza un thriller claustrofobico dove il lusso dei fiordi norvegesi diventa una trappola lucente: una prigione galleggiante in cui ogni riflesso nasconde il sospetto e ogni sorriso sa di menzogna.
Tratto dall’omonimo bestseller di Ruth Ware (pubblicato nel 2016 e divenuto un caso editoriale internazionale), La donna della cabina numero 10 approda su Netflix dal 10 ottobre 2025 in una trasposizione diretta dal regista Simon Stone. Il film, scritto dallo stesso Stone insieme a Joe Shrapnel e Anna Waterhouse, si inserisce nel filone dei thriller psicologici ambientati in spazi chiusi, dove la tensione nasce non solo dall’enigma ma dal progressivo isolamento della protagonista.

Con una durata di circa 95 minuti, la pellicola sceglie la via della sintesi: un racconto serrato, ambientato in un microcosmo scintillante e inquietante, dove la superficie del lusso nasconde un abisso di menzogne.
La donna della cabina numero 10: la trama in breve
La protagonista, Laura “Lo” Blacklock, interpretata da una sempre efficace Keira Knightley, è una giornalista d’assalto che riceve l’incarico di scrivere un articolo circa un evento di beneficienza a bordo di una crociera su uno yacht di lusso: un gruppo di milionari sta donando ingenti somme di denaro a una fondazione per il cancro, sostenuta proprio dalla coppia di proprietari dello yacht, dato che la signora sta per morire di questa brutta malattia.
Quella che doveva essere una parentesi abbastanza tranquilla nel di solito angoscioso lavoro di Laura, si trasforma presto in incubo: durante una notte insonne, Lo crede di assistere a un omicidio nella cabina accanto alla sua.
Ma quando segnala l’accaduto, scopre che nessuno sembra mancare all’appello. Nessuna donna misteriosa, nessuna prova concreta. Intrappolata su uno yacht da cui non è possibile fuggire, Lo si ritrova quindi a indagare in un ambiente ovattato e ostile, popolato da ricchi ospiti dalle intenzioni ambigue, dove nulla è come sembra e ogni sguardo può celare una minaccia.
Accanto alla Knightley figurano Guy Pearce nel ruolo del miliardario Richard Bullmer, Gugu Mbatha-Raw, Kaya Scodelario, Hannah Waddingham e David Ajala, tutti impegnati nel delineare un piccolo teatro di apparenze e sospetti.

L’economia narrativa è croce e delizia del thriller di Simon Stone
Il principale punto di forza del film risiede nel ritmo narrativo. In un panorama in cui molti thriller si dilatano in episodi e sotto-trame, La donna della cabina numero 10 mantiene un equilibrio encomiabile: tutto avviene entro un’ora e mezza, senza dispersioni. La tensione è gestita con precisione, e il montaggio accompagna con efficacia il crescendo di paranoia della protagonista.
Tuttavia, questa compattezza comporta un rovescio della medaglia: alcune svolte risultano eccessivamente accelerate. Le sfumature psicologiche del romanzo vengono semplificate e l’ambiguità che rendeva la pagina scritta così inquietante viene qui compressa in un ritmo cinematografico che privilegia l’azione sulla riflessione.
L’interpretazione di Keira Knightley è il cardine della riuscita complessiva. L’attrice dosa con finezza fragilità e determinazione, rendendo credibile la spirale di ansia e sospetto che avvolge il personaggio. Accanto a lei, Guy Pearce incarna con eleganza un potere ambiguo e mellifluo, mentre i passeggeri del lussuoso yacht – volutamente tratteggiati in modo caricaturale – rappresentano la faccia grottesca della ricchezza e della superficialità.
Sul piano visivo, il film raggiunge vette più alte. La fotografia di Ben Davis è splendida: i contrasti tra interni dorati e paesaggi glaciali dei fiordi norvegesi creano un’atmosfera da noir nordico, dove la luce metallica e i riflessi del mare amplificano il senso di claustrofobia. La nave diventa così una prigione galleggiante, quasi un’escape room di lusso, in cui ogni porta chiusa è un sospetto.
La regia di Simon Stone resta sobria ma consapevole. Evita virtuosismi inutili e mantiene una coerenza stilistica che privilegia il controllo sull’effetto. Ne risulta un film elegante, teso il giusto, con un’identità chiara e una confezione impeccabile, anche se priva di veri guizzi autoriali.
Il limite maggiore risiede dunque nell’adattamento stesso: nel tentativo di condensare il romanzo in 95 minuti, il film sacrifica parte della tensione psicologica e delle ambiguità morali che costituivano il cuore del testo di Ruth Ware. Tuttavia, la solidità della messinscena e la compattezza ritmica lo rendono un thriller più che dignitoso.
La donna della cabina numero 10: valutazione e conclusione
La donna della cabina numero 10 è un film di genere solido, ben girato e interpretato con misura, che offre un’ora e mezza di intrattenimento elegante, immerso in un’atmosfera sospesa e gelida. Non reinventa nulla, ma esegue con professionalità i codici del thriller claustrofobico, mantenendo sempre alta l’attenzione grazie a una regia pulita e a un ritmo calibrato con precisione.
Pur mancando la profondità psicologica del romanzo, riesce a trasmettere un senso palpabile di angoscia e isolamento, sostenuto da un’ottima fotografia e da una protagonista all’altezza. Keira Knightley, in sé un’attrice camaleontica, conferisce alla Lo del film una presenza solida e credibile, dosando con finezza determinazione e vulnerabilità, e mantenendo vivo lo sguardo dello spettatore anche nei momenti più dubitativi.
Da segnalare anche il lavoro tecnico di alto livello: il suono, calibrato con grande attenzione, amplifica il senso di chiusura e di tensione psicologica, con i rumori ovattati degli interni, il ronzio costante del mare e il crepitio metallico della nave che diventano essi stessi elementi narrativi. La colonna sonora minimalista accompagna la vicenda con discrezione e intensità, rafforzando la dimensione ansiogena senza mai soverchiare le immagini.
In sintesi, un thriller elegante, ben confezionato e visivamente affascinante, che si lascia guardare con piacere anche senza colpi di scena memorabili.
Consigliato per una visione serale di qualità, perfetto per questo weekend: un piccolo brivido tra i fiordi senza muoversi dal divano.