FFF 2022 – Inu-Oh: recensione del film di Maasaki Yuasa

Un capolavoro potente e libero, che identifica la potenza proteiforme della musica con la ricerca identitaria.

Inu-Oh è il film d’animazione di Maasaki Yuasa presentato nel Future Film Festival 2022 a Bologna. La manifestazione ha come titolo, in questa edizione, Retrofuturo.
Il teatro Sarugaku (traduzione letterale: musica di scimmie, precursore del teatro No) è una forma di teatro giapponese esistita tra l’XI e il XIV secolo.

Inu-Oh recensione cinematographe.it

Etimologicamente, il termine riporta ad una forma d’arte simile al circo di oggi, con acrobazie, pantomime e danze accompagnate da tamburi. Ed è al suo interno, nel periodo Muromachi -epoca storica dal 1336 al 1573, che prende il nome dal quartiere di Kyoto dove gli shogun Ashikaga instaurarono la propria residenza dopo il 1378- che nasce la figura di Inu-Oh, ragazzino nato con caratteristiche fisiche che portarono gli adulti a coprirne le fattezze con indumenti pesanti e una maschera che ne celava il volto.

Inu-Oh era un cantastorie famoso, ma nonostante la fama raggiunta non sono rimaste nel tempo tracce documentate della sua opera: Masaaki Yuasa riprende allora il personaggio e ne traccia un racconto basato sui capitoli a lui dedicati nell’Heike Monogatari (un poema epico di ignoto, basati su racconti tramandati oralmente, una specie di Odissea nipponica), raccontato allo spettatore da due narratori.

Inu-Oh: un film d’animazione potente

Se uno è il protagonista Inu-Oh, l’altro è Tomona, un monaco cieco suonatore di Biwa, che inizia così il suo percorso destinato a concludersi con la conoscenza proprio del personaggio centrale, che lo cambierà personalmente e fisicamente: perché l’unica maniera che Inu-Oh ha di riguadagnare la sua forma umana è diffondere i racconti perduti del clan degli Heike, narrazioni perdute e proibite dai Genji, rivali dell’altro clan nella conquista del potere, perché portatori di un punto di vista che portava ad interferire con la storia ufficiale giapponese imposta dai vincitori.

Lo sguardo e la poetica geniale di Yuasa costruiscono allora Inu-Oh come una vera e propria opera rock, grimaldello culturale e sociale per scardinare la visione univoca del mondo grazie al potere della trasformazione, del mutamento, viste come uniche chiavi per poter accedere alla complessità dell’esistenza.

Le trasformazioni di Inu-Oh sono metafore della sua ricerca d’identità perduta (con notevoli, ovvi, sottolineati e necessari riferimenti gender): e il film muta esso stesso, diventando un’opera fluida e travolgente dal doppio binario, sia fondamentale rievocazione storica sia trattazione di tematiche identitarie.

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In questo, il disegno si unisce e si adatta perfettamente alla portata teoretica di tutto il film: il design di Taiyo Matsumoto riprende e glorifica i corpi filiformi cari a tanta iconografia manga, senza rinunciare alla portata realistica con un tratto che sa farsi pittorico, mentre contemporaneamente la narrazione pone l’attenzione sulla ricostruzione del Giappone del XIV secolo.

Un’opera (rock) profondamente anarchica

La multiformità di Inu-Oh si ricollega infine al dissolversi delle immagini in forme geometriche e colori che esplodono sullo schermo, riconducendo la struttura drammaturgica ad una straordinaria, potentissima opera rock. In maniera naturale, verrebbe da dire: in quando è proprio il musical il genere prediletto perché il realismo iniziale sbocci e si frantumi in un’aderenza solo alla libertà poetica dell’autore.

Inu-Oh è, in definitiva, un’opera (rock) profondamente anarchica, che se da una parte ossequia la musica come un totem espressivo, dall’altro pone al centro della narrazione la ridefinizione del corpo.

Regia - 4
Sceneggiatura - 5
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

4.2