Il Legame: recensione del film Netflix di Domenico de Feudis

Un buon esordio e buon film che spaventa, che si costruisce seguendo una sua logica e che fa ben sperare nella seconda opera.

Una macchina. Un uomo, una donna e una bambina. Un viaggio da nord a sud per andare a trovare i genitori dell’uomo. Questo è l’inizio, dopo un prologo legato al soprannaturale e alla magia nera, di Il Legame, disponibile su Netflix dal 2 ottobre 2020, di Domenico Emanuele de Feudis – all’esordio dietro alla macchina da presa al fianco di Paolo Sorrentino, dopo la gavetta come regista di seconda unità – che prende spunto dal suo cortometraggio L’ora del buio (2017). Il film è un’inquietante racconto che affonda a piene mani nella tradizione e nelle credenze del Sud Italia, infatti prende ispirazione dalla “fascinazione”, concetto che compare nel saggio Sud e Magia di Ernesto De Martino – le cui citazioni aprono la pellicola per fare da cornice alla storia e indirizzare il pubblico.

Il Legame: lo spaventoso morso di un ragno

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Il Legame racconta la storia di Emma (Mía Maestro) che, arrivata in una Puglia ricca di credenze arcaiche, conosce per la prima volta Teresa (Mariella Lo Sardo), madre del suo nuovo fidanzato Francesco (Riccardo Scamarcio) e viene ospitata nella grande e isolata vecchia villa di famiglia, in campagna; a tenerle compagnia c’è l’amica Sabrina (Raffaella D’Avella). Le donne accolgono a braccia aperte Emma ma soprattutto Sofia (Giulia Patrignani), la figlia della donna, avuta da una precedente relazione. Tutto si complica quando la bambina, che nella notte era stata spaventata da alcuni strani rumori (forse delle presenze?), viene morsa da un ragno. A quel punto il film si immerge in un mondo fatto di tradizioni popolari e rituali, di fascinazioni e cure che giocano con magia nera (Teresa e quella casa ne sono rappresentazione) e realismo (Emma non crede assolutamente, almeno all’inizio, che si tratti di magia nera).

Sofia è punta da un ragno, ha dei segni inquietanti sulla pelle, urla la notte ma non c’è una ragione scientifica – o almeno una a cui gli adulti credano -, si tratta invece, purtroppo. di una maledizione. Un male oscuro si impossessa di lei e, a poco a poco, si perde nel buio di quella immensa villa; strane usanze e rituali sono l’unico modo in cui Teresa crede di poter salvare la ragazzina.

Il femminile acquista qui un’importanza fondamentale. Sono le donne infatti a portare il fardello, sono le donne a tessere e a sciogliere le trame: ci sono Emma e Teresa, poli opposti, rappresentanti di universi differenti – ma che poi, per il bene di Sofia, sono capaci di avvicinarsi e combattere insieme contro il male -, ci sono Emma, moderna, lavoratrice, mamma che tenta l’impossibile per salvare sua figlia con la medicina e il raziocinio, e un’altra, di cui si viene a sapere lungo il film, mancante di molte cose e agisce in nome di ciò.

Il Legame: de Feudis lavora sull’horror

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I mondi a cui fa riferimento il film e il regista sono due: da una parte c’è l’horror moderno quello che rompe gli stilemi classici, che approfondisce la realtà facendo crescere la tensione, dall’altra quello che affonda a piene mani nella magia cerimoniale e nel cattolicesimo rurale. Per il primo c’è un’evidente ispirazione, come racconta lo stesso regista in più di un’intervista, a Get Out di J. Peele in cui l’incubo monta a poco a poco, per il secondo giganteggia Il Demonio di Brunello Rondi (1963), in cui si parla di possessione e fascinazione, horror a tutti gli effetti e saggio sul Sud Italia. Rituali, preghiere sono temi centrali in quel contesto e nel film di Rondi e qui tutto questo c’è.

Il Legame: tra racconto popolare e immaginario macabro

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Già nel cortometraggio L’ora del buio de Feudis era stato bravo a creare un immaginario disturbante e macabro che qui si amplia, si complica e il cineasta lavora su un doppio binario, da una parte il folclore, dall’altra l’horror puro, e utilizza entrambi mescolandoli in maniera interessante, infittendo la narrazione con essi. Il racconto popolare, misto alle tradizioni familiari del Sud, è punto nevralgico del film; l’ambientazione, con le campagne e gli alberi di ulivo, la casa dai soffitti alti e l’oscurità delle grotte circostanti, servono per creare un mondo in cui poi la tragedia avviene e per spiegare allo spettatore che Francesco ed Emma sono diversi e appartengono a culture e tradizioni diverse. Se il film all’inizio si declina alla guisa di una commedia è proprio l’immaginario di riferimento, fatto di personaggi, avvenimenti, luoghi – la tenuta, le cure mediche, gli sguardi tra le donne che nascondono segreti inconfessabili – a dirci che, come spesso capita nelle pellicole di genere, si tratta solo della quiete prima della tempesta, di una situazione (apparentemente) tranquilla dopo la quale nulla sarà come prima: il viaggio, l’arrivo a casa, il pranzo di benvenuto, la preghiera (utile a tenere lontane le presenze) sono iniettati da quel sentire etnico-religioso del meridione italiano, cardine del genere horror, che aumentano la suspense. De Feudis crea un quadro credibile che ci fa temere fin da subito per Sofia, non solo e non tanto per ciò che avviene ma soprattutto per ciò che potrebbe avvenire. Nella stanza, scura, silenziosa, in cui dorme la piccola, ogni cosa sembra una trappola come capita per esempio in Paranormal Activity, in cui lo spettatore assieme ai personaggi si guarda intorno perché da un momento all’altro, l’oscuro potrebbe colpire/colpirci. Sofia resta bloccata in quella stanza, nessuno riesce ad entrare né ad uscire e il male fa di lei ciò che vuole. Ferite e ematomi coprono il suo corpo, dalla sua bocca escono sorprese mostruose, gli specchi si rompono proprio come avviene nel cliché del genere. Intorno e per il bene della bambina tutto avviene, tutti agiscono; ci sono poche possibilità di salvarla e per farlo bisogna aggregarsi contro il nemico che acquista volto e i cui gesti acquistano motivazione.

Il Legame: un buon horror e un buon esordio

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La pellicola in qualche momento – soprattutto nella seconda parte – si perde e dunque fa perdere anche chi guarda, ma, sapendo bene la difficoltà di realizzare film di genere in questo caso horror, in Italia, questo è un buon esordio e buon film che spaventa, che si costruisce seguendo una sua logica e che fa ben sperare nella seconda opera.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.5