Il Castello di Vetro: recensione del film

Una storia dolceamara ispirato alla vita di Jeannette Walls, che visse da bambina con i genitori e i fratelli in ritrovi di fortuna, spostandosi continuamente.

La famiglia Walls è senza radici. Si sposta continuamente da un punto all’altro degli Stati Uniti, dormendo all’aperto o in un case sfitte o abbandonate, senza luce né acqua. Mamma Rose Mary (Naomi Watts) è una pittrice prolifica ma una madre disattenta, mentre papà Rex (Woody Harrelson) è un uomo brillante, ma beve troppo ed è incostante e spesso crudele. Insieme, la coppia ha avuto quattro figli, tre femmine e un maschio, nessuno dei quali ha mai varcato la soglia di una scuola. Eppure sono istruiti e responsabili. Talmente responsabili che, crescendo, si rendono conto dell’inadeguatezza e del pericolo di rimanere in casa con simili genitori, e decidono, uno dopo l’altro, di lasciare il nido il prima possibile.

Anni dopo, Jeannette, la seconda dei quattro figli Walls, si è stabilita a New York ed è diventata una famosa giornalista di gossip. Sta per sposare un analista finanziario (quanto di più lontano possa essere dai suoi trascorsi d’infanzia), guadagna un sacco di soldi e si vergogna quando le chiedono qualcosa sulla sua famiglia d’origine. Il momento del matrimonio, però, è vicino; ed è necessario informare Rex del fidanzamento, che nel frattempo si è trasferito con Rose Mary a New York e insieme hanno occupato un edificio abbandonato.

Brie Larson è la Jeannette Walls de Il castello di vetro nel film diretto da Destin Daniel Cretton

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La storia de Il Castello di Vetro è ispirata al libro autobiografico di Jeannette Walls, libro che dal 2005, anno della sua pubblicazione, è invariabilmente nella top ten dei libri più venduti del New York Times. Il “castello di vetro” in questione è la struttura che Rex Walls aveva in mente di costruire per i suoi figli, la promessa grazie alla quale faceva loro sopportare i tuguri peggiori. Lei, protagonista di una straordinaria ascesa sociale, è interpretata da Brie Larson, già vincitrice di un Oscar per Room (2015) di Lenny Abrahamson. Viene costretta in abiti e acconciature così anni ’90 capaci di rendere il tutto posticcio. Molto più naturali e immediate le scene dell’infanzia: il regista Destin Daniel Cretton non insiste troppo, fortunatamente, con lo squallore e la sporcizia, concentrandosi piuttosto sui rapporti e le dinamiche – malate – famigliari.

Woody Harrelson è il punto più alto de Il castello di vetro

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La vera punta di diamante del Castello di vetro, però, è Woody Harrelson. L’attore imita alla perfezione l’accento pastoso del West Virginia (il vero Rex Walls era originario di Welch), e il ruolo sembra cucito su misura per lui: mentre Naomi Watts sembra a tratti poco a suo agio nella parte della mamma incosciente ed egoista, Harrelson oscilla senza problemi tra gli estremi del padre straordinario e del padre padrone (e crudele). Il punto centrale della storia è, difatti, il rapporto tra Rex e Jeannette, come la vera Jeannette Walls l’aveva raccontato. Tutto il film è strutturato sui due filoni temporali diversi (passato e presente) che corrono paralleli per poi ricongiungersi in un finale dolceamaro e commovente.

Il castello di vetro è comunque un film canonico, nel senso che segue i binari di un qualunque film incentrato sul rapporto conflittuale padre-figlia, eppure non risulta mai strappalacrime o “furbo” nel senso di un film che possa giocare facilmente con le emozioni degli spettatori. Molto fa l’origine veritiera della storia, quasi incredibile a credersi: questa forte ancora di realismo fa sì che a Il castello di vetro si perdoni qualche leggerezza nella trama e qualche passaggio taciuto di troppo.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.2