Il canto del pavone: recensione del film di Sanjeewa Pushpakumara

Una coproduzione italo-srilankese che racconta la lotta per la sopravvivenza fra le rovine del capitalismo.

Il canto del pavone di Sanjeewa Pushpakumara, un’inusuale coproduzione fra Italia e Sri Lanka, arriva in sala il 19 ottobre 2023, distribuito da Pilgrim Film. 
Sanjeewa Pushpakumara è al quarto lungometraggio e si concentra nuovamente sulla lotta per la sopravvivenza, all’interno del contesto socioeconomico dello Sri Lanka. Un contesto disastrato, ancora segnato sia dalle violente conseguenze di una guerra civile durata ventisei anni, che dagli effetti devastanti del tremendo tsunami del 2004. Ma soprattutto preda di un rapido processo di modernizzazione e urbanizzazione, sotto l’influenza dell’economia cinese, che ne allarga sempre più il divario fra ricchi e poveri.

canto del pavone recensione cinematographe.it

In un simile scenario si muove il protagonista de Il canto del pavone, il diciannovenne Amila (Akalanka Prabashwaraa). Il ragazzo, da poco orfano, si trasferisce dal suo villaggio natale nella capitale, Colombo, con due sorelle e due fratelli minori. Una delle sorelle, Inoka (Naween Saumya), ha infatti bisogno di cure mediche molto costose, che possono essere garantite solo in un ospedale cittadino. Amila trova lavoro in un cantiere cinese, ma quando i medici stabiliscono che Inoka dovrà affrontare un intervento al cuore da eseguire in India, il giovane si rende conto che lo stipendio da edile non basta. Mentre i fratelli più piccoli tentano di racimolare, a sua insaputa, qualcosa con l’elemosina, Amila incontra una donna (Banuja Mandiewu), che lo coinvolge in un business di adozioni illegali per occidentali.

Il canto del pavone. Le rovine della modernità in Sri Lanka

Il film descrive una gioventù abbandonata a se stessa e priva di riferimenti. Amila e i suoi fratelli sono infatti immagine simbolica di una generazione costretta a vivere fra le rovine di una modernità, che in Sri Lanka si palesa nella forma di un capitalismo spietato. Il sistema economico descritto da Pushpakumara è infatti un meccanismo che attribuisce valore alla vita umana solo in termini economici. Ogni individuo, sin dalla sua nascita, ha un costo, è oggetto di transazioni economiche e solamente in quanto tale rappresenta un valore per la società in cui vive. La mera esistenza deve poter produrre guadagno. Così si crea una scala gerarchica di sfruttamento in cui chi è un gradino sopra è intento a sfruttare chi si trova in quello inferiore, anche solo per poter sopravvivere. Gli uomini d’affari cinesi, all’apice della catena gerarchica, hanno imposto il proprio potere economico sull’intera società dello Sri Lanka, rendendo il paese un enorme mercato di vite umane a vantaggio di occidentali, turisti/consumatori totali. Le istituzioni politiche e militari si fanno corrompere per garantire alle classi affaristiche del paese un legame con tale potere e relativo tornaconto. Le persone comuni, come Amila, per lo più divise fra povertà e miseria assoluta, non hanno nessuna velleità di ribellione e fungono da pedine nel sistema di lucro delle classi abbienti, facendosi complici dello sfruttamento dei loro simili.

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Questo quadro a tinte fosche si serve di un linguaggio filmico a suo modo rigoroso. Il regista usa campi lunghi e piani medi, per restituire sempre il contesto urbano/sociale entro cui i personaggi si muovono. In maniera molto solenne, costruisce ogni inquadratura su immagini simmetriche, in cui gli attori sono disposti come su un ideale palcoscenico tragico. La macchina da presa è per lo più fissa, a suggerire l’impossibilità di un qualsivoglia mutamento economico e sociale. Abbondano inoltre riprese della vita di strada di Colombo. Insomma siamo di fronte a un realismo tragico che ha un certo impatto, ma che non riesce del tutto a convincere, a causa di una scrittura che sconfina troppo spesso nell’eccesso melodrammatico, curandosi poco di fornire tutti i nessi logici necessari al progredire della trama. La storia d’amore, che a un certo punto nasce tra Amila e una delle donne costrette dalla povertà a dare il proprio bambino in adozione, è troppo affrettata per risultare credibile. Il rapporto edipico che la donna d’affari instaura con il protagonista è confuso e sembra costruito solo per aggiungere un ulteriore elemento emotivo, laddove non ce ne sarebbe bisogno. Le insistite inquadrature della piccola Inoka allettata e i numerosi sguardi in macchina dei protagonisti nei momenti più drammatici, vorrebbero interpellare la sensibilità dello spettatore e, nel caso di quello occidentale, provocarne un certo senso di colpa. Eppure l’effetto del tutto risulta più che altro retorico, tanto da arrivare a scalfire la rigorosità estetica esibita in altri punti dell’opera.

Il canto del pavone: valutazione e conclusione

Il canto del pavone costituisce quindi una visione sicuramente interessante, ma purtroppo non pienamente riuscita. Il film, in definitiva, non sa mantenere un sano equilibrio fra denuncia sociale e narrazione melodrammatica e finisce così per sconfinare in una sorta di pietismo a tratti ridondante.

Realizzato dalla casa di produzione e distribuzione triestina Pilgrim Film insieme a Sapushpa Expression, il film è una produzione Italia – Sri Lanka ed è stato presentato in concorso alla 35° edizione di  Tokyo International Film Festival dove ha vinto il premio Best Artistic Contribution. Il canto del pavone è al cinema dal 19 ottobre 2023.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.4