Idila: recensione del film di Tomaž Gorkič

Approda al Fantafestival il curioso Idila, lungometraggio dello sloveno Tomaž Gorkič tutto ispirato a quel Deliverance che, nel 1972, fu diretto da John Boorman.

Se, per ovvie necessità, si dovessero chiarire le sostanziali differenze fra le due opere, se ne troverebbero ben poche: Zina, Mia, Dragica e il fotografo Blitcz sono i quattro protagonisti che s’inoltrano nella natura apparentemente incontaminata, non più rappresentata dalle lacustri foreste che seguono il corso del fiume (immaginario) Cahulawassee nell’opera di Boorman, bensì alle sterminate zone boscose della terra nativa del regista.

Il pattern, comunque, si ripete: i quattro amici, durante uno shooting fotografico, s’imbattono in due minacciosi autoctoni che rivendicano il possesso di quei luoghi, ora rivelatisi tutt’altro che ospitali, e finiranno prigionieri degli stessi, che li tortureranno per (in qualche modo non specificato) farne una grappa “infernale”.

Idila di Tomaž Gorkič è un’opera è fatta di presagi, come Deliverance  di John Boorman, alla quale è ispirata

idilaL’opera di Gorkič è fatta di presagi, come il suonatore di organetto che richiama, ancora una volta, il suonatore di banjo che fu simbolo del film di Boorman; presagi che sono pezzi di un puzzle che svelerà il proprio senso solo una volta ultimato, e che inizialmente contribuiscono solo ad alimentare un senso di inquietudine e angoscia strisciante in cui il film è da subito avvolto. I quattro protagonisti non sono solo tutti legati al mondo della moda, bensì persino intenti a utilizzare l’immagine pura della natura integra e inviolata per traslarla in un contesto “urbano” fatto di set fotografici e riflettori.

Tuttavia, all’elemento urbano designato dai quattro amici viene concesso di essere inoculato in quello naturale con il solo scopo di calcarne lo stridente contrasto. Una volta addentrati i suoi protagonisti nella tipica putrida cella sotterranea in cui cose terribili hanno luogo, il regista sloveno rifiuta il tempo dell’azione prediligendo quello dell’attesa. Alle strazianti urla di dolore (che comunque non mancano) vengono preferiti gridolini di ansia tremanti e meccanici, come allo zampillare del sangue (che comunque non manca, anzi) viene sostituito lo scorrere delle lacrime su un volto pallido e sudicio.

idila

Con Cabin in The Woods, Drew Goddard aveva proposto una parodia del genere horror come saldamente ancorato a quei meccanismi (infinitamente riproposti) che si sono ormai confermati come gli stereotipi del genere. Fra questi, vi era la soluzione finale del killer che, fatti a pezzi i protagonisti uno dopo l’altro, si fa sfuggire solo la “vergine”, destinata a salvarsi e fuggire.

Gorkič fa tesoro di questa lezione importante, e respinge con fermezza il ritmo dato da una struttura narrativa impostata sull’uscita di scena dei personaggi modulata dalle uccisioni.

Sebbene, infatti, la sempre difficile costruzione della tensione sia ancora piuttosto acerba e bisognosa di essere perfezionata dal regista – affinché non cali a picco in momenti d’azione eccessivamente e inopportunamente dilungati – l’attenzione viene tutta rivolta verso la fuga di una sola protagonista, Zina, che così occupa e conquista una buona metà del tempo complessivo della pellicola. Come è già stato specificato, la scelta è tanto coraggiosa quanto azzardata, e ne risente l’armonia globale di Idila, pur restando un’opera che può contare sull’originalità di scelte inusuali e sull’irriverenza di momenti fra cui l’ironico e memorabile finale, in vetta a un’ipotetica lista di ragioni per cui Idila è, semplicemente, un film da vedere.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.9