I nostri fantasmi: recensione del film di Alessandro Capitani

Con I nostri fantasmi Alessandro Capitani torna dietro la macchina da presa con una storia dolce tra fiaba e thriller.

Nel sottotetto si parla a bassa voce. Nel sottotetto si cammina in punta di piedi. Nel sottotetto non si corre. E nel sottotetto, soprattutto, si spera in una vita migliore. Queste le poche regole a cui si aggrappa la nuova storia di Alessandro Capitani, I nostri fantasmi. Dal 30 settembre al cinema con Fenix Entertainment, Capitani torna dietro la macchina da presa dopo il buon successo di In viaggio con Adele (2018).

Un po’ fiaba, un po’ thriller. A volte anche horror, ma solo per finta. Una finzione a cui si aggrappano Valerio e il figlio Carlo, che ogni notte si vestono da fantasmi e scendono dal sottotetto, in cui vivono da ormai un anno, per cacciare “gli invasori”: i nuovi inquilini subentrati al loro sfratto.

I nostri capitani Alessandro Capitani cinematographe.it

I nostri fantasmi vive di una simpatia contagiosa. Il rapporto padre e figlio si tinge di fiabea quando Valerio (Michele Riondino) e Carlo (Orlando Forte) contano i punti guadagnati dalla caccia agli invasori. “Abbiamo vinto?”, chiede speranzoso. “No, mancano ancora 1000 punti e riavremo la casa”. Ma la costruzione immaginaria ideata da Valerio per proteggere il figlio inizia a diventare una gabbia. Il gioco, che cela il dramma della disoccupazione e dell’umiliazione che ne segue, sembra non finire più. O essere sul punto di infrangersi contro la realtà.

Ma tutto cambia con i nuovi invasori. Loro non sono come gli altri. Loro non si fanno spaventare. Non basta il trucco e qualche gioco di luci. A loro la casa serve, per davvero. Myriam (Hadas Yaron) e la piccola Emma sono in fuga da un marito violento, pericoloso. Perché se gli invasori non esistono, i cattivi sì. E forse sono peggio. Valerio è infatti costretto a rivelare il proprio nascondiglio per salvare Myriam dall’ennesimo gesto feroce dell’uomo che la segue e minaccia. Da questo, l’inizio di una convivenza inaspettata e costruita sulle speranze di una vita migliore.

I nostri fantasmi mostra il dramma ma crede nelle persone

I nostri fantasmi Alessandro Haber cinematographe.it

Capitani si inserisce nel solco di un sottogenere cinematografico sempre accolto da lacrime e sorrisi. Come ne La vita è bella di Roberto Benigni troviamo un padre che nasconde sotto il tappeto dell’immaginazione la crudeltà della vita. Il figlio, dal canto suo, non dubita mai. Si getta in una storia costruita per salvarlo. Dal suo punto di vista I nostri fantasmi vive qui, tra Un ponte per Terabithia 7 minuti dopo la mezzanotte, senza lesinare il gioco di fantasia di I Kill Giants. Carlo infatti mastica una gomma e diventa invisibile, con il beneplacito di passanti che sembrano complici pur essendo semplicemente disinteressati da ciò che li circonda, anche un bambino.

Ma come in tutti i casi citati, la fantasia è un diverso sguardo alla realtàI nostri fantasmi non la nega, non la sopprime. È lì, vera come i fantasmi del sottotetto. La scrittura di Capitani ce la mostra in un segmento brutale ma necessario. Seguiamo Valerio alla ricerca di una soluzione nelle case popolari prese d’assalto dai volti delle nuove povertà e delle migrazioni. Sembrano sequenze di guerra, dominate dall’assenza di umanità e speranza, a cui I nostri fantasmi applica una coperta troppo corta, un cerotto troppo sottile per la vastità della ferita. È infatti l’amore il farmaco somministrato da Capitani alla sua storia. Un placebo a cui non è facile credere, ma che, lo ammettiamo, è bello ritrovare in un cinema spesso cinico e drammaticamente ridondante. È inevitabile per lo spettatore sentirsi un po’ come il piccolo Carlo: avvicinati a tragedie che non prendono mai un nome.

Si sorride, anche se il dramma resta vivo nella mente dello spettatore

I nostri fantasmi Hadas Yaron

Valerio e Myriam si innamorano in un attimo. Una sequenza riassuntiva mostra due settimane sognanti. Lui ritrova lavoro, lei il sorriso. I nostri fantasmi sceglie in questo momento di diventare un film che tutti quei temi – lo sfratto, la disoccupazione, il dramma – li tiene nel sottotetto. Non scompaiono, ma per entrare in scena brancolano un po’ nel buio prima di avventurarsi giù da una scaletta pericolante. Non possiamo in tal senso puntare il dito nei confronti di un mancato approfondimento. La scelta è chiara e dopo un inizio dai toni forti, I nostri Fantasmi prende una via precisa. Da capire resta però se il coraggio di un autore, oggi, si misuri nella sua capacità di svelare le storture della realtà, o di tingerla nel miele, come era solito fare dai Romani con i farmaci più amari.

Di certo Capitani, alla sua seconda prova di regia – che dichiara però di sentire come un esordio -, dimostra una sensibilità che sarà interessante seguire. Si prende cura dei suoi attori come fanno i personaggi tra di loro, aiutato in questo da una buona miscela interpretativa che vede il cast centrare quasi tutte la parti senza apparente difficoltà. Bravo anche il piccolo Carlo, Orlando Forte; esagerato e sopra le righe come solo un bambino può essere, senza per questo rovinare la scena.

I nostri fantasmi è dunque una storia dolce, velata di una rara fiducia nel mondo e nelle persone. Persino troppo. Se inizia come un horror – con Slippery Slope dei The Do a cantare “walk, walk, walk me home” – finisce in commedia. E i Florence + the machine a siglare un patto di gioia e speranza che I nostri fantasmi, da un certo punto in poi, stringe con gli spettatori. “Happiness hit her like a train on a track” urla la band mentre il film volge al termine. Persino il vicino scorbutico, interpretato con il consueto spirito da Alessandro Haber, ritrova il coraggio di proteggere i più deboli. Infine, dunque, si sorride. Anche se una parte di noi è ancora là, a chiedersi cosa ne è di un mondo che sotto una coltre di fiaba vede lottare una povertà diffusa per un diritto chiamato casa.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

3