I Cantastorie: recensione del film di Gian Paolo Cugno

Arriva al cinema il 10 novembre I Cantastorie, il film di Gian Paolo Cugno, memoria storica della Sicilia.

Brutto momento per Angelo, padre di Maria Teresa e marito di Anna. Ex uomo d’affari di successo della capitale, è ormai sul lastrico, costretto a lavorare come manovale alle dipendenze di un suo ex opeario. Come se non bastasse, l’uomo si vede anche abbandonato dalla moglie, evidentemente poco disposta a condividere il talamo con un fallito.

La figlia Maria Teresa però, decide di restare col padre, di cui intuisce le difficoltà e il dramma personale di un uomo che vede sgretolarsi tra le mani il lavoro e i traguardi di un’intera vita. Deciso a ritrovare sé stesso, Angelo decide di tornare nella natia Sicilia, da cui manca da tanti anni, per riscoprire le sue radici,  e per cercare oltre a sé stesso, anche una seconda possibilità.

Il tutto sfocerà nella riscoperta della gloriosa tradizione dei cantastorie itineranti; nata come risorsa di vita per Angelo e Maria Teresa, si tramuterà in un’occasione di riscatto e di crescita, più per l’adulto che per una figlia piena di inventiva e di quell’incoscienza che caratterizza i primi anni di vita.

I Cantastorie  è diretto da Gian Paolo Cugno, classe 1968, naturalmente sicialiano doc, trapiantato a Roma da diversi anni, con un passato di sceneggiatore e montatore, che ha all’attivo non solo la creazione del Festival Cinema di Frontiera in Sicilia (giunto oggi alla quindicesima edizione), ma anche la sceneggiatura per quel Salvatore-Questa è la vita che nel 2006 si è aggiudicato la Farfalla d’oro Agis al Festival del Cinema di Roma. Per la televisione ha poi scritto e diretto La Bella Società, accolto con grande entusiasmo dal pubblico e dalla critica televisive.

Con questo sua prima opera cinematografica, il regista ha voluto creare un road-movie familiare dall’alto impatto culturale, valendosi della presenza scenica di un Davide Coco molto efficace e credibile nel ruolo di Angelo. La fotografia è di Giancarlo Ferrando,  il montaggio di Ugo De Rossi, mentre le musiche sono composte da Paolo Vivaldi.

Purtroppo le tante potenzialità che offrivano la sceneggiatura e la location, non sono state sviluppate in modo soddisfacente, per quanto la pellicola trasudi passione e aiuti a riscoprire la tradizione e le cultura siciliane.

Il risultato è infatti un film molto discontinuo, senza una chiara identità, incerto tra l’essere un film per l’infanzia o un film per adulti. Davide Coco, lo si ripete, è sicuramente molto credibile nella parte di un padre fragile, insicuro, ma allo stesso tempo capace di riscoprire sé stesso e le proprie radici con grande caparbietà, di adattarsi ad un dramma così terribile come quello del moderno fallimento economico.

Tuttavia Tiziana Lodato (la moglie Anna) è protagonista di una performance molto discontinua, mentre la giovanissima esordiente Maria Teresa Esposito non sempre appare coinvolgente o coinvolta. Va comunque ricordato che il suo è stato sicuramente un esordio cinematografico dal coefficiente di difficoltà non indifferente.

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Il film vive di momenti, immagini, inquadrature, ma è sovente eccessivo, troppo impegnato a ricreare o cercare una determinata atmosfera e ne consegue una perenne forzatura nei toni e nella recitazione. Proprio la recitazione è uno dei motivi di maggior difetto del film, sopratutto a causa dei dialoghi, poco curati e molto innaturali. Quella che poteva essere una bella e curiosa odissea, diventa invece un collage molto confuso e zuccheroso, troppo serio per un pubblico infantile, troppo stucchevole per un pubblico adulto.

Forse si doveva inseguire un’esperienza cinematografica maggiormente realistica e meno artefatta, più cruda anche quando necessario, sicuramente con più silenzi, più espressività, un tono meno compiaciuto e dei personaggi più approfonditi. Non mancano trovate argute e metafore di grande bellezza, ma sono soffocate, non sviluppate, come esorcizzate di quello spirito di felice anarchia e di fantasia esistenziale che ci si aspetterebbe.

Al pullman de I Cantastorie di Cugno è mancata quella genuina follia che forse serviva. Peccato.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.5