Happier than Ever: Lettera d’Amore a Los Angeles: recensione del concert experience di Billie Eilish

Happier than ever è il regalo live che Billie Eilish dona ai suoi fan: il secondo album interamente suonato e messo in scena alla Hollywood Bowl è un viaggio fiabesco e introspettivo, puro, essenziale e pindarico.

Happier than ever, quello che è stato definito il secondo album – volutamente e amabilmente confusionario – di Billie Eilish, diventa Happier Than Ever: a love letter to Los Angeles, un film di un’ora in uscita su Disney+ dal 3 settembre 2021 per la regia di Robert Rodriguez e del premio Oscar Patrick Osborne

Se il titolo può trarre un po’ in inganno e far pensare che possa celarsi tra una canzone e l’altra qualche tratto documentaristico, che non ci sarebbe poi neppure dispiaciuto nel complesso, la definizione di concert experience scioglie ogni dubbio. Happier than EverLettera d’Amore a Los Angeles infatti è un live intimo, non un concerto ripreso, ma un’esperienza sonora, un viaggio di luci, suoni e voci, che vede la voce flebile e sognante di Billie Eilish dialogare con la Los Angeles Philarmonic diretta da Gustavo Dudamel e costruire visivamente e musicalmente i suoi testi nell’atto stesso in cui vengono cantati.

Happier than ever: Billie Eilish in versione animata, un concerto tra sogno e disincanto

La diciannovenne americana, precisamente made in Los Angeles, che detiene oggi con una certa umiltà il record della più giovane artista (nonché prima donna) ad essersi portata a casa in una serata ben cinque Grammy nelle categorie più importanti del prestigioso premio, in questo film concerto che la vede disneyanamente diventare animata mostra di essere prima ancora che popstar e cantante, una musicista.

Billie Eilish - Cinematographe.it

Al centro infatti dell’intera concert experience ad accecare non è solo la scenografia maestosa di una delle sale da concerto più belle e famose di Los Angeles, l’orchestra che per gioco di luci si trasforma in un’ombra che sembra omaggiare silenziosamente quell’indimenticabile classico che è Fantasia, ma è soprattutto Billie con il suo corpo che si abbandona alla musica. Una giovanissima che sa destreggiare con maestria il microfono, mostrando una piena coscienza e dominanza della sua voce: la Eilish infatti ha un tono di voce particolarissimo e se la sua musica genera atmosfere, sogni e incubi in ogni album è proprio per questa sua attitudine.

Ma Happier than ever da album si trasforma in un viaggio di fantasia: sognante, incredibile, dove felicità, malinconia, orrore, delusione, magia, gratitudine e sofferenza sono interpretate da una Billie animata che gira per la sua amata Los Angeles, con lo sguardo di chi a diciannove anni ha scritto I’m getting older, I think I’m aging well
I wish someone had told me I’d be doing this by myself. In un ipotetico classico Disney che raccontasse di una giovane donna eroina del presente, la Eilish con il suo disincanto e la sua energia sognante, sarebbe la nostra principessa preferita: il suo alter ego animato si muove come in un sogno di una notte di mezza estate, con sguardo innamorato verso una Los Angeles che l’ha cresciuta da bambina e che adesso guarda da donna e artista affermata.

La bellezza di questa lettera d’amore a Los Angeles è che sono le sole immagini, gli stacchi e gli inframezzi musicali che dal concerto si dissolvono in questi sogni animati – dove lo sguardo di Rodriguez si vede e si sente – guidate dalla musica a raccontarci tutto questo. Ecco perché anche gli appassionati dei vecchi concerti e documentari in stile anni ’90, che spesso prendevano in disparte i musicisti che tra un pezzo e l’altro raccontavano e si raccontavano, digeriscono con comprensione questa piccola delusione. Accettando che forse il mondo di Billie Eilish non può che essere raccontato unicamente così, nella purezza di un viaggio di parole, suoni, sguardi e luci colorate e accecanti. Peccato forse non aver osato di più con rimandi e incroci con il precedente lavoro della Eilish, decisamente più horror – musicalmente parlando – dell’ultimo.

Al centro la musica e non il chiacchiericcio: un concert experience senza aggiunte e fronzoli

Happier than ever è un album decisamente diverso dal precedente When we fall asleep where do we go: la stessa immagine di Billie Eilish, esteticamente più eccentrica e cartoonesca nel precedente e più diva e angelica nell’ultimo, hanno segnato un passaggio per la cantante. Tuttavia però è qualcosa di puramente estetico, perché musicalmente lo stile è rimasto quello: anzi Happier than ever è più maturo nelle sonorità, nei testi più chiaro e gradevolmente sperimentale.

Billie Eilish - Cinematographe.it

Consapevoli di questo passaggio, la Disney, considerato anche il discorso del bodyshaming che ha visto la cantante coinvolta in prima persona, avrebbe potuto introdurre questa tematica, rischiando però un’operazione di strumentalizzazione per un prodotto nato per essere un concerto e fornire un’esperienza alternativa e visiva di ascolto di un album. La sorpresa è che cenni alla questione non vi sono, se non nella misura stessa in cui è il singolo Therefore I Am ad aprirla, e si lascia ancora una volta che siano il dialogo tra la musica e le immagini, il parlato della cantante, il suo canto che si muove seguendo una silhouette animata che ci fa comprendere perfettamente di cosa stiamo parlando, a farci giungere con forte impatto il disagio vissuto dalla cantante.

Una scelta in linea con lo stile di Billie Eilish, con il suo modo di comunicare, e con l’essenza di questa concert experience, dove tutte le emozioni vissute, belle e brutte, sono pienamente e unicamente espresse da quell’arte che riesce a dire e ad arrivare al cuore, senza – e Carmelo Bene avrebbe aggiunto “beata lei” – la parola.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Sonoro - 4
Emozione - 3.5

3.5