Guida pratica per insegnanti: recensione del film di Thomas Lilti
Un film che fa lezione, ma non insegna.
Guida pratica per insegnanti (Un métier sérieux) si presenta come un film impegnato, che vuole raccontare il mondo scolastico con uno sguardo intimo e realistico. Peccato che il risultato finale sia più simile a una lunga, fiacca riunione di dipartimento che a un’opera cinematografica di denuncia sociale e degna di nota.
Il film, diretto da Thomas Lilti, si muove tra intenti ambizioni autoriali, ma inciampa e offre un’esperienza di visione piatta, prevedibile forse un po’ troppo pretenziosa.
Una regia troppo statica
La regia di Thomas Lilti (Hippocrate, Médecin de campagne) manca completamente di mordente. Lilti opta per uno stile sobrio, pseudo-documentaristico, ma l’effetto è un torpore visivo che sfocia spesso nella noia. Non c’è tensione narrativa, né slancio registico: solo una sequenza di scene statiche, prive di ritmo, dove tutto sembra immobile, incluso lo spettatore. Il regista pare più interessato a mettere in mostra il proprio sguardo “consapevole” che a costruire una storia che coinvolga davvero.
Lilti scrive anche la sceneggiatura, ma la scrittura è afflitta da una verbosità sterile e una struttura narrativamente inconsistente. I dialoghi sono spesso meccanici, privi di naturalezza, davvero poco vicini a scambi e confidenze tra professori. I personaggi non evolvono, restano imprigionati nei loro ruoli archetipici – l’insegnante frustrato, l’allievo problematico, il dirigente distaccato – senza mai acquisire spessore reale. Un copione che, invece di stimolare riflessione sociale ed umana, anestetizza.
Guida pratica per insegnanti: un film corale da un grande cast

Nemmeno un cast di rilievo riesce a salvare la pellicola. François Cluzet, qui in versione sottotono, sembra recitare col freno a mano tirato. Adèle Exarchopoulos è sprecata in un ruolo che non le permette mai di uscire da un’espressione di perenne insofferenza. Louise Bourgoin, che altrove sa essere incisiva, qui vaga tra i corridoi con la stessa energia di una stampante scolastica fuori uso. L’unica performance realmente convincente è quella del giovane Vincent Lacoste, nel ruolo del supplente alle prime armi, confuso e tormentato. Nessuno, però, riesce a brillare davvero, e non è solo colpa loro: è la scrittura stessa a tarpare le ali a ogni possibile sfumatura.
La fotografia di Antoine Héberlé punta al realismo, ma cade nel grigiore. Aule scolastiche illuminate male, interni spenti, inquadrature piatte: il lavoro visivo non riesce mai a diventare linguaggio. La sensazione è che la camera si limiti a registrare, senza mai interpretare. Nessun uso creativo della luce, nessun vero gioco prospettico. Solo monotonia, coerente forse con l’ambiente scolastico descritto, ma cinematograficamente sterile.
Il suono non fa che accentuare il senso di desolazione generale. I rumori ambientali sono spesso invadenti, il parlato si perde in più di una scena, e la totale assenza di una colonna sonora strutturata non aiuta a creare atmosfera. Anche qui, la scelta del “realismo puro” risulta più punitiva che immersiva.
Una riflessione su un métier sérieux
Quello che dovrebbe essere un film capace di smuovere coscienze, riflettere su una professione cruciale, come quella dell’insegnante, sul ruolo della vocazione, delle insicurezze e dei fallimenti, finisce per essere un esercizio di stile senza cuore. Non c’è coinvolgimento emotivo, non c’è catarsi, non c’è empatia. Solo un elenco stanco di frustrazioni, inquadrato con distacco e raccontato con una freddezza che rende impossibile appassionarsi a questi anti-eroi contemporanei.
Guida pratica per insegnanti: valutazione e conclusione

Guida pratica per insegnanti è, purtroppo, un film che fa lezione, ma non insegna. E dopo la visione, il pensiero più forte non è una riflessione sulla scuola, sul capitale umano raccontato o i fallimenti della società rappresentati, ma su quanto questa pellicola sia un’occasione sprecata, troppo ambiziosa e poco incisiva.