Grosso guaio all’Esquilino: La leggenda del Kung Fu – recensione del film degli YouNuts!

La recensione del film con protagonista Lillo, che sfrutta in chiave parodica il successo di Cobra Kai.

È uscito direttamente su Prime Video, il 6 aprile 2023, Grosso Guaio all’Esquilino: La leggenda del Kung Fu, il film, interpretato da Lillo Petrolo e Carolina Crescentini, per la regia di Niccolò Celaia e Antonio Usbergo, in arte YouNuts!

Grosso guaio all'Esquilino Cinematographe.it

Grosso Guaio all’Esquilino: La leggenda del Kung Fu è un maldestro tentativo di sfruttare il successo del revival della saga di Karate Kid, determinato dalla serie Cobra Kai. Così assistiamo, come in Cobra Kai, alla trasformazione di un ragazzino nerd, Davide (Riccardo Antonaci), in un (kung fu) fighter, mosso dallo scopo di sconfiggere il bullo che insidia la ragazza di cui è innamorato. Però a differenza che nella serie americana, il maestro di Davide, non è un vero campione di arti marziali, ma un attore in disarmo, Martino (Lillo), che interpretò, negli anni ottanta, un fittizio film spaghetti-karate, Cintura nera, reminiscente del reale Il ragazzo dal kimono d’oro (De Angelis, 1987).
Il tono del prodotto confezionato dagli YouNuts! è essenzialmente quello della commedia romantica teen, in cui le arti marziali hanno un ruolo secondario. Semmai è la rappresentazione in chiave nostalgica dei b-movies italiani anni ottanta – in cui, per la verità, quelli a tema arti marziali sono rappresentati solo dalla saga del Ragazzo dal kimono d’oro – a essere centrale nella messa in scena.

Un dispositivo di rievocazione nostalgica

Celaia e Usbergo piuttosto che un film, con Grosso Guaio all’Esquilino: La leggenda del Kung Fu sembrano interessati a creare un dispositivo di rievocazione nostalgica di secondo grado. Ovvero una narrazione che, seguendo le tendenze dell’industria dello spettacolo contemporanea, sfrutti il meccanismo della nostalgia mediale. Così da accaparrarsi, teoricamente, un pubblico in crisi identitaria, interessato a rivivere continuamente frammenti di un passato idealizzato, nella forma di un immaginario trash, condiviso da tutta una generazione. Ciò ha lo scopo di riaffermare una sorta di identità collettiva generazionale, basata su una merce filmica del passato e di riattivare il valore economico, non solo di quella merce, ma di tutto ciò che da essa deriva nel presente.

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Per questo motivo si tratta di una rievocazione nostalgica di secondo grado. Gli autori non immergono realmente la storia negli anni ottanta, ma la ambientano nella contemporaneità. Ci sono riferimenti al melting pot della Roma di oggi, ai migranti, agli stereotipi etnici, alla rivalutazione cinefila del filone trash e ad alcuni cliché del cinema italiano moderno. D’altronde gli anni ottanta nei meccanismi commerciali che sfruttano la nostalgia, non sono mai davvero simulacri nel tempo, ma simulacri del tempo (Morreale, 2009), racchiusi in oggetti/merci simboliche, come pupazzi, videogames a 8 bit o immagini filmiche dotate della patina vintage delle vhs. E il film è pieno di questi cimeli, che servono appunto a creare una contemporaneità immersa nel feticismo di quell’epoca, con l’obiettivo di poter vendere quello che altrimenti non sarebbe altro che un rip off di Cobra Kai, sicuramente divertente, ma a basso budget e privo di scene action degne di nota.

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Risulta più stucchevole la pretesa di poter trattare con una superficialità disarmante, anche per un prodotto di genere come questo, il topos narrativo del bullismo adolescenziale. D’altronde anche questo rientra nei processi di sfruttamento dei meccanismi della nostalgia mediale. Si affronta un problema serio della contemporaneità con i mezzi della sua rappresentazione mediale, derivata da prodotti di scarto di tempi andati. Laddove però i prodotti americani, a cui il film si ispira, provano quantomeno a problematizzare la questione, cercando di mantenere un equilibrio fra feticizzazione dell’immaginario e riflessione sul reale – quand’anche questa risulti un po’ banale – Grosso guaio all’Esquilino invece abbraccia completamente la propria natura di merce ludica e accetta la stucchevolezza di cui sopra. Se sia un pregio di onestà o un punto a sfavore del film/dispositivo di rievocazione nostalgica lo decideranno quegli spettatori/consumatori, che dovessero sentire la necessità di rivivere i tempi del kimono dorato, insieme a Lillo.

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Conclusione e valutazioni

La regia, così come la fotografia e il montaggio non fanno altro che assecondare lo scopo dell’intera operazione. Ci sono le luci colorate, dal sentore di neon, l’immancabile training montage e una messa in scena molto moderata, nel suo privilegiare primi piani e campi medi. La colonna sonora è adeguata ma priva di mordente. La Crescentini e Lillo offrono invece delle prove attoriali dignitose. Quest’ultimo si afferma sempre più come attore feticcio per quei registi dediti a operazioni di rivalutazione nostalgica della cinematografia di genere degli anni ottanta italiani – si veda a riguardo anche Il mostro della cripta (2021) di Misischia.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2
Emozione - 2.5

2.3