Gli ultimi saranno ultimi: recensione

Sono passati nove anni da quando Gli ultimi saranno ultimi di Massimiliano Bruno debuttò al teatro con Paola Cortellesi come protagonista.

Gli ultimi saranno ultimi: una pellicola che riesce ad emozionare raccontando storie paurosamente troppo vicine alle nostre realtà

Nel passaggio all’adattamento cinematografico molte cose sono cambiate ed altre sono state del tutto eliminate (com’è giusto che sia per una trasposizione ad un registro comunicativo significativamente differente). Erano gli anni in cui la crisi si affacciava alle nostre finestre e tutte le conseguenze che ne sono poi realmente derivate erano solo frutto della nostra pessimistica fantasia. Ne sono seguiti due anni a spasso per l’Italia portando in giro il copione di Bruno e, prima di arrivare sul grande schermo, ne sono dovuti trascorrere altri sette.

Si tratta di un film che sento particolarmente mio, che segna una svolta nella mia vita e nella mia carriera; frutto di un periodo in cui ho imparato a dire quei “No” che non ho mai pronunciato ed anche di vari episodi della mia vita privata.

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Dalle parole del regista traspare perfettamente il modo in cui Gli ultimi saranno ultimi è una pellicola davvero sorprendente nell’accezione più semplicistica del termine: riesce ad emozionare raccontando storie paurosamente troppo vicine alle nostre realtà.

Luciana (Cortellesi) è la moglie di Stefano (Gassmann), un brav’uomo ma fondamentalmente un fallito su cui non poter fare affidamento. Le poche entrate economiche si devono al lavoro di Luciana nell’azienda produttrice di parrucche del paesino di Anguillara (RM), tristemente noto per la presenza di decine di antenne radiofoniche che hanno letteralmente decimato la popolazione delle zone limitrofe. Dopo anni senza la gioia di un figlio, l’arrivo di una gravidanza segnerà, di fatto, l’inizio della sua rovina: la perdita del posto di lavoro innescherà un lento ma inesorabile meccanismo a causa del quale si sgretolerà il piccolo appezzamento di benessere che si era costruita insieme a suo marito.

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Contemporaneamente un poliziotto veneto che l’ha combinata davvero grossa, viene trasferito nello stesso paese. Si chiama Antonio (Bentivoglio) e ben presto si troverà a fare i conti con l’abitare in uno di quei posti in cui il rumoreggiare dei tamburi sembra nascondere il silenzio sotto la coperta dei cortei medievali o, magari, assopisce i bisogni di chi non può permettersi di averne, quasi ad indurli in un’ipnosi salvifica.

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Anche tutti gli altri personaggi che ci vengono presentati sullo sfondo di un posto in cui si può sentire la messa provenire dalle tubature grazie alle/a causa delle potentissime onde radio da cui vengono colpite, fanno parte della categoria degli Ultimi: persone dimenticate dalla grazia divina e dall’affetto dei loro cari, condannati ad un’esistenza in cui è impossibile non sentire la mancanza di un qualcosa perennemente inarrivabile.

La poliedricità della Cortellesi, in questa pellicola, viene perfettamente catalizzata e concentrata sul solo aspetto recitativo. Attraverso un ruolo che si è cucita addosso ci regala in assoluto la sua miglior interpretazione sul grande schermo; rude nel raggiungere il suo scopo, senza preoccuparsi di dover far ridere forzatamente, in una parte che, verosimilmente, aspettava da tempo.

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È assolutamente delizioso raccogliere le citazioni disseminate qua e là dell’artista che, durante il secolo scorso, ha saputo raccontare meglio di chiunque altro e con sapiente ingenuità le vicissitudini di quegli stessi Ultimi tra le fila delle quali anch’egli aveva realmente vissuto: Massimo Troisi. Non è un caso se Luciana non vuole più vivere neanche uno di quei 1oo giorni da pecora che in Scusate il ritardo erano messi in competizione con quell’unico giorno da leone, ai quali il Vincenzo interpretato da Troisi preferisce 50 giorni vissuti da orsacchiotto… almeno sono nel mezzo! E che dire del nome da dare al nascituro? Mario, come il padre di Luciana. Un nome breve, di sole due sillabe proprio come Ugo: il nome che Gaetano (sempre Troisi) in Ricomincio da tre vorrebbe dare a quel figlio per avere la certezza della sua buona educazione. Lo stesso figlio che, invece, la sua compagna vorrebbe chiamare Massimiliano (che Bruno non abbia incassato bene il colpo?), decisamente troppo lungo per assicurarsi che, almeno in quanto ad obbedienza, non sia l’ultimo della sua classe. E quando dopo la prima metà del film la tv della casa della coppia perde il segnale proprio mentre è sintonizzata su una celebre scena di un film del compianto comico napoletano, il quadro risulta perfettamente completo.

Fosse stato anche questo un film del secolo scorso, l’avremmo potuto definire un fedele ritratto della società contemporanea, con tutte le sue preoccupazioni, le sue ipocrisie e le sue paure più recondite… Ma siamo nel 2015 e, più che altro, è una selfie della gente della quale facciamo parte.

In attesa di svelarvi la nostra #recensione vi auguriamo buona serata con i protagonisti del film Gli ultimi saranno…

Posted by Cinematographe on Lunedì 9 novembre 2015

Giudizio Cinematographe

Regia - 3.8
Sceneggiatura - 3.9
Fotografia - 3.6
Recitazione - 4
Sonoro - 3.4
Emozione - 3.9

3.8

Voto finale