Glass: recensione del film di M. Night Shyamalan

La recensione di Glass, il film in uscita il 17 gennaio 2019 diretto da M. Night Shyamalan con James McAvoy, Bruce Willis e Samuel L. Jackson.

Si tratta senza ombra di dubbio del film più atteso in questo inizio di 2019, del ritorno di uno dei registi più discussi, amati ed odiati (a seconda del punto di vista) degli ultimi decenni. Stiamo parlando di Glass di M. Night Shyamalan, sequel e crossover di due tra i film di maggior successo del regista indiano: The Unbreakable del 2000 e Split del 2016.

Tutto comincia dove ci eravamo lasciati al termine di Split, con la ricomparsa sulla scena di David Dunn (Bruce Willis) detto ll Sorvegliante, protagonista della pellicola del 2000, deciso a continuare la sua opera di protezione dei più deboli e punizione dei prepotenti e dei violenti con l’aiuto del figlio Joseph (Spencer Treat Clark)
Dunn ora è sulle tracce del famigerato Kevin Wendell Crumb (James McAvoy), il terrificante ex impiegato dello Zoo di Philadelphia abitato da molteplici e disturbate personalità, di cui l’ultima, detta La Bestia, è un orrendo mostro assetato di sangue. In quei giorni Crumb si è reso colpevole di diversi rapimenti ed omicidi e in quel momento sta progettando l’ennesimo sacrificio alla Bestia, dopo aver segregato quattro cheerleaders.
Sulla scena compare intanto la misteriosa Dott.ssa Ellie Staple (Sarah Paulson), psichiatra decisa a guarire i due “freaks”, e che ha già in cura il fragile ma geniale Elijah Price, detto l’Uomo di Vetro/Glass (Samuel L. Jackson). Ma dal passato, presenze, segreti e misteri emergeranno in modo imprevedibile, sconvolgendo la vita dei tre “freaks” e ciò che credono di sapere su se stessi e sul mondo che li circonda.

Glass e la saga di cui fa parte: atmosfere quasi quotidiane per mandare in scena la violenza

Glass arrivava con delle potenzialità a dir poco enormi, vista la contemporanea presenza nell’iter narrativo dei tre protagonisti dei due precedenti film, il che offriva la possibilità di portare il confronto-scontro a livelli visti solo nei migliori film sui supereroi.
La chiave del successo dei film di Shyamalan era stato il perfetto equilibrio tra la fantasia, la dimensione atipica dei personaggi e un’atmosfera apparentemente realistica, quasi “banalmente” quotidiana per ciò che riguardava la loro natura e il mondo in cui vivevano.
Il tutto senza dimenticare l’enorme dose di drammaticità, inquietudine e spavento, l’utilizzo di una violenza depurata di ogni spettacolarizzazione e abbellimento, che hanno reso diversi dei suoi film perfetti nel donare allo spettatore universi narrativi ad un tempo familiari e totalmente inediti.
La scrittura di Shyamalan, nei due episodi precedenti, era stata sempre il pezzo vincente, in grado di far apprezzare dei personaggi assolutamente diversi da quelli che in questi anni hanno abitato i cinecomic. Da un certo punto di vista si può quasi dire che egli si fosse spinto oltre, abbracciando una “normalizzazione” estetica ma incoraggiando una maggiore cura per i personaggi e l’intreccio.

James McAvoy: croce e delizia di Glass

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Purtroppo occorre dire che questo Glass, alla fin fine, si dimostra purtroppo un film alquanto sottotono, discontinuo, sempre incerto su quale direzione prendere, a causa di uno script che sostanzialmente è un monumento all’incoerenza.
Lo stesso Glass (al quale si rifà il titolo dell’opera), ha ben poco spazio nel film e, per quanto il finale cerchi di rimediare, di crearne un ruolo da deus ex machina, sembra quasi un personaggio di contorno; il tutto a favore di un James McAvoy autore di una performance certamente straordinaria, con la sua Orda che affascina e cattura lo spettatore. Tuttavia oltre che il maggior pregio, tale scelta è anche il tallone d’Achille del film.
Perché Crumb, come tutti gli altri personaggi, non mostra nulla di nuovo, nessuna evoluzione, salvo ripetere all’infinito l’iter dei mille volti e mille voci ed espressioni, il che sicuramente è preferibile all’insopportabile staticità di un Bruce Willis ormai divenuto l’ombra di se stesso, ma che alla lunga fa precipitare il film in un vortice di prevedibilità.

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Ciò che fa rimanere sconcertati, soprattutto pensando ai due precedenti episodi, è quanto il film non decolli mai, quanto manchi di suspense, quanto resti sempre tutto alla stessa velocità ed intensità.
I personaggi rimangono immobili, non si evolvono, diversi dialoghi e momenti sembrano quasi improvvisati, frutto di un vuoto creativo che purtroppo è stato sovente una costante nella filmografia di Shyamalan. Così come sovente è stato costante anche il suo sopravvalutare la portata “epica” dell’iter da lui creato, la sua capacità di essere credibile ed empatico, come visto in E Venne il Giorno, Lady in the Water e After Earth, portando il tutto verso una involontaria sensazione di eccessivo, se non addirittura di ridicolo involontario.
Chi si aspetta atmosfere oscure, inquietanti e sorprendenti rimarrà sicuramente deluso, visto che da un certo punto in poi, Glass diventa alquanto naif e in alcuni momenti persino noioso, assediato da un sentimentalismo e un’autocompiacimento a dir poco roboanti.

Glass: ambientazioni oscure e la bellissima fotografia di Mike Gioulakis

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Rimane però l’eterno viaggio nell’oscurità, nelle profondità artificiali della terra creata dall’uomo, con il perdurare di seminterrati, celle, sgabuzzini, con l’acqua elemento di debolezza, predatore del sovrannaturale, dentro un universo reale oscuro, senza luce e speranza.
Ma tutto, compreso il suo comprovato mestiere dietro la macchina da presa, viene rovinato dalla decisione di Shyamalan di offrire un finale “epico”, mitologico, di sovvertire la dimensione personale, micro, in favore di quella macro, che già in passato lo aveva esposto a critiche tutt’altro che pretestuose.
In Glass si dimostra capace di sprecare la bellissima fotografia di Mike Gioulakis, mentre sostanzialmente inutile se non quasi dannosa è la colonna sonora creata da West Dylan Thordson, che non cattura e non convince.
L’impressione finale è che il regista sia arrivato a questo capitolo finale senza avere le idee molto chiare, come testimoniato da un finale bolso e assediato da cliché e deja vu già visti e rivisti in dozzine di altri film.

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La speranza è che, se proprio Shyamalan ha intenzione di dare un seguito a questa trilogia (ma l’impressione è decisamente negativa), che almeno trovi il coraggio di prendere una direzione e seguirla senza cambiare idea ogni due minuti.
Perché esiste un confine tutt’altro che secondario tra colpo di scena, il finale a sorpresa a lui caro ed il caos narrativo privo di ogni coerenza e senso logico. E con Glass egli è sembrato infinitamente attratto più dal secondo.

Glass è al cinema dal 17 gennaio 2019.

Regia - 3
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2
Emozione - 2.5

2.6