Fratello dove sei?: recensione

“Come on Brothers let’s go down, down in the river to pray… Good Lord show me the way!”
Signore mostrami la strada…
Quella che i tre galeotti intraprendono evadendo dal penitenziario dove erano costretti ai lavori forzati. Una strada che attraversa le terre assolate e polverose del Mississippi negli anni della Grande Depressione.

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Ethan e Joel Coen sostengono di non aver mai letto l’Odissea, e probabilmente è vero, ma in O Brother, Where Art Thou? Ulysses Everett McGill (George Clooney) incontra un vecchio cieco che gli predice il futuro, viene sedotto dalle Sirene, si imbatte in un Ciclope con un occhio solo, il venditore di bibbie Big Dan Teague (John Goodman), e torna finalmente alla sua Penelope-Penny (Holly Hunter). Il loro cinema non smette di esserne una citazione neppure quando è lontano dai luoghi e dai personaggi omerici.  Così spesso le loro storie si svolgono on the road, il viaggio è un topos ricorrente già da quello che Drugo intraprende per recuperare il suo tappeto e poi le cavalcate del Grinta e la più recente “odissea umana” che attraversa Davis. Ma, d’altronde, è con l’Odissea che è nata la “narrazione on the road”.

I Coen sono cineasti eccentrici, si sa, ma c’è una forma più evidente di culto degli antenati cinematografici: il titolo viene da un film di Preston Sturges, I dimenticati (The Sullivan’s Travels). Storia di un regista di commedie leggere che aspira a fare un film sull’ingiustizia sociale, intitolato proprio Fratello, Dove sei? Discende vari abissi ed arriva fino alla prigione, dove, osservando i detenuti che ridono guardando un cartoon, torna al cinema che fa divertire. E’ proprio dalla verifica di Sturges che partono i due fratelli, creando nel loro teatro di posa un’altalena ondeggiante tra miti antichi e moderni, in bilico tra l’epica on the road omerica e quella hollywoodiana. Ulysses somiglia a Clark Gable e non può fare a meno della brillantina Dapper Dan, la sua marca preferita, proprio non può accettare una Fop.

Posso far venire il pezzo da Bristol, ci vorranno due settimane. La sua brillantina.
Due settimane? No, non me ne faccio niente!
Il magazzino della Ford più vicino è a Bristol.
No… un momento: non voglio questa brillantina: voglio la Dapper Dan.
Qui non trattiamo la Dapper Dan, trattiamo la Fop.
No, io non voglio la Fop, maledizione! Io sono un uomo-Dapper Dan.
Badi a come parla, giovanotto, questo è un esercizio pubblico. Se vuole la Dapper Dan gliela ordino. Ci vogliono un paio di settimane.
Ma guarda: questo paese è una bizzarria geografica! È a due settimane da tutto! Lasci perdere.

George Clooney è un Ulisse particolare, ha la parlantina sciolta dell’astuto manipolatore, ma solo perchè incatenato a due più imbranati di lui il disadattato Pete Hogwallop (John Turturro) e lo stordito Delmar O’Donnell (Tim Blake Nelson). I tre evadono e intraprendono il viaggio, inseguiti dallo sceriffo Cooley, alla ricerca del tesoro di un milione di dollari che Ulysses Everett dice si trovi nei pressi di una diga in costruzione. In fuga dovranno vedersela con le forze avverse rappresentate dal misterioso sceriffo, un personaggio ultraterreno, un Poseidone che si serve, però, delle fiamme.

Everett: ma è contro la legge!

Lo sceriffo Cooley: la legge non è che un’istituzione umana.

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lo sceriffo Cooley

Sulla strada i tre faranno i più disparati incontri a cominciare da un anziano cieco vagabondo, il Tiresia della loro Odissea, che profetizza sin da subito cosa li attende e che vive lungo una ferrovia come navigandola. Sulle rive del fiume si ritrovano nel mezzo di un rito a cui partecipa una comunità di battisti che canta insieme “Down in the river to pray” Pete e Delmar crederanno di essere stati discolpati, perchè immersi nelle acque come fossero purificatrici di ogni colpa.

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Un chitarrista di colore che ha venduto l’anima al diavolo in cambio del talento, proprio come la leggenda di Robert Johnson, con il quale incidono un brano “I am a man of constant sorrow” fingendosi un gruppo folk di musica tradizionale degli stati uniti del sud i “Soggy bottom boys”.

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Soggy bottom boys

Il criminale George “Babyface” Nelson ritratto come un folle senza freni o le tre Sirene ammaliatrici che li seducono perchè cacciatrici di taglie, in seguito al loro incontro Pete viene diviso dai due compagni (per poi ricongiungervisi) e Delmar frastornato crede che sia stato trasformato in un rospo. Un Polifemo, Big Dan, venditore di Bibbie con un occhio solo truffatore e ladro. Un richiamo a “Nascita di una Nazione” di Griffith avviene attraverso l’incontro del Ku Klux Klan visto in chiave parodistica, da un cappuccio con un buco solo per vedere, palesemente, riconosciamo Big Dan/Polifemo, il ritratto della setta è grottesco, un po’ come quello di Django in cui Tarantino se ne fa beffa.

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Il viaggio di Everett è in realtà spinto dal volersi ricongiungere alla sua Penelope (Holly Hunter), ex-moglie che sta per risposarsi con un pretendente “più affidabile” di lui, e il tesoro è solo una perspicace invenzione.

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Il film-viaggio ci sposta tra voci nere che intonano canti gospel evocando grande spiritualità e comizi elettorali sui quali si alternano canzoni allegre come “ You are my sunshine” e tradizionali come “In the jailhouse now”. Un film on the road che si muove tra la storia politica degli stati del sud durante la crisi e una girandola di citazioni cinematografiche americane con il filo conduttore musicale che si esprime in una delle colonne sonore più suggestive del cinema.

Giudizio cinematographe

Regia - 4.2
Sceneggiatura - 4.2
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4.7
Sonoro - 5
Emozione - 4.5

4.4

voto finale