Force of nature: Oltre l’inganno: recensione del thriller con Eric Bana

Un thriller dalle sfumature psicologiche con protagonista un Eric Bana in sordina.

Nelle sale italiane dal 14 marzo, distribuito dalla Notorious Pictures, il thriller investigativo, composto come un’indagine a ritroso, Force of Nature: Oltre l’inganno, vede protagonista Eric Bana, nei panni dello stesso personaggio che aveva interpretato in Chi è senza peccato – The Dry (2020), dello stesso regista Robert Connolly, ovvero l’agente Aaron Falk che questa volta deve indagare sul tragico evento legato ad un gruppo di campeggiatrici durante un’escursione, in seguito alla scomparsa di una di loro.

Force of Nature: oltre l’inganno – un thriller dalla doppia linea narrativa

Un po’ come accadeva nel precedente Chi è senza peccato – The dry, che traeva spunto anch’esso da un romanzo del 2016 della scrittrice Jane Harper, intitolato The dry (appunto), il nuovo thriller diretto e adattato da Robert Connolly, ancora con protagonista Eric Bana, dal titolo Force of nature: oltre l’inganno (dal romanzo Force of nature, sempre della Harper) si muove su due linee temporali e, quindi narrative, per sbrogliare i fili della matassa della sua indagine.
Nel primo film, infatti, l’agente Aaron Falk faceva ritorno alla sua cittadina nel cuore rurale dell’Australia in seguito ad un fatto tragico: un suo amico suicidatosi dopo aver ammazzato moglie e figlio. Ma, il racconto si spostava sul passato che aveva portato Aaron ad abbandonare la città, in seguito ad un’altra tragedia che aveva colpito lui e suo figlio. L’entroterra arido (da qui il titolo dry) diveniva, quindi scenario per una doppia ricerca personale e criminale, attraverso il quale Falk/Bana doveva ripercorrere i suoi fantasmi personali e cercare anche il movente che portava l’omicida/suicida a compiere la mattanza. Movente che, inevitabilmente, lo porterà verso un’altra soluzione.

Anche Force of nature, dunque si muove su una doppia pista narrativa. Il fatto increscioso avvenuto nelle fitte boscaglie montuose dove un gruppo di cinque donne si è recato a fare un avventuroso campeggio apre il racconto e lo squarcia di tanto in tanto, mentre “in tempo attuale”, l’agente assieme ad una collega indaga, raccogliendo le testimonianze delle sopravvissute, su cosa sia accaduto tra quelle montagne. E se non bastasse, in questa linea narrativa che sposta l’indagine nel tempo, si allinea il racconto personale del protagonista, anch’esso mosso da un evento del passato.

Un sequel dalle buone premesse, inferiore al predecessore

Se il film precedente della coppia Connolly (alla regia) e Bana (protagonista) prestava particolare attenzione alle turbe dell’agente Falk e dipingeva con discreta attenzione il microcosmo di provincia, arrivando ad un epilogo costruito con grande enfasi scenica, questo sequel costruisce delle buone premesse narrative, ma non sfocia in particolari sviluppi sia narrativi che emozionali, restando mediamente godibile, ma privo di un vero climax soddisfacente, nella risoluzione del giallo e con minor spessore nello sviluppo dei suoi personaggi e nelle dinamiche femminili che dovrebbero formare la tessitura dell’intrigo.

Anche la linea narrativa parallela, quella legata al passato del protagonista, sembra meno dolorosa e più edificante nel suo percorso catartico, rispetto alla vicenda che legava a doppio filo il passato e il presente nel precedente capitolo the Dry, del 2020 che trovava proprio nella soluzione del giallo il suo punto espressivo più alto, non tanto nella scrittura quanto nella messa in scena.

Force of nature: oltre l’inganno – valutazione e conclusione

In conclusione si può dire che questo The Dry 2 sia un prodotto sostanzialmente godibile, quasi più vicino ad un prodotto da piccolo schermo, anche perché la bellezza silvestre degli scenari boschivi e montuosi trovano in pochi momenti la giusta spazialità ariosa. Un prodotto valido, dunque per una visione senza troppe pretese, che si attesta su ritmi flemmatici (forse pure troppo) e che costruisce una drammaturgia da giallo psicologico che funziona solo in parte, senza coinvolgere appieno e senza lasciare un segno tangibile alla risoluzione degli eventi.

Confezionato in maniera più che decorosa, interpretato bene dal suo cast, compreso un Eric Bana che sembra crederci un po’ meno rispetto al capitolo precedente, quasi come fosse in sordina, a recitare col pilota automatico in uno status di perplesso dolore perenne, per quello che a conti fatti si rivela un thriller meno interessante del suo capitolo precedente e, probabilmente, meno accattivante di quanto le premesse della prima mezz’ora potevano far sperare, ovvero di imbastire un dramma lacerante con interessanti problematiche femminili. Ma le premesse si indeboliscono nello sviluppo della sua seconda parte fino all’epilogo un po’ frettoloso ed edificante.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.3