TSFF 2021 – Dzikie Róże: recensione del film

Dzikie Róże è una rappresentazione senza intenti censori della maternità e dell'essere donna.

Una donna e i suoi due figli. Un periodo di allontanamento, un ricovero che la tiene separata dai suoi figli. Una storia di maternità e di dolore, di fatica e solitudine, di lacrime e ricerca. Racconta questo Dzikie Róże (Wild Roses/Rose selvatiche), inserito nella sezione del Trieste Film Festival (21-30 gennaio 2021) Wild Roses: Registe in Europa, il lungometraggio della regista polacca Anna Jadowska che si immerge nella vita di Ewa, una donna, una moglie, una madre.

Dzikie Róże: Ewa, una donna che non vuole rimanere sola

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Jadowska scrive una storia di una donna, ne percepisce il dolore, le fragilità e sviscera l’essere madre e la maternità. Ewa (Marta Nieradkiewicz) è sola, provata, lo si percepisce subito, al primo istante. Lei è stata lontana, lo spettatore non ne conosce il motivo. Ewa ha due figli, Marysia e Jaś di cui si è presa cura la madre di lei mentre era assente, e ha anche un marito che lavora in Norvegia; la donna nasconde un segreto, un dolore profondo, una ferita che non la lascia in pace mai, qualcosa che rovina il rapporto con sé stessa e con gli altri. Quando Andrzej, il marito, torna per la Prima Comunione di Marysia viene a sapere di un pettegolezzo che circola in paese sulla relazione tra la moglie e Marcel, un ragazzo poco più che adolescente. Ewa si sente giudicata e incompresa: il suo rapporto con il marito e i figli si incrina, le cose iniziano a farsi complicate e lei capisce che è tempo di scegliere. La regista sceglie di narrare una figura complessa, Ewa, una donna che non ce la fa più, troppe responsabilità, troppo tempo lontana dal marito, troppi giudizi da parte degli altri e poca vicinanza.

Chiede amore, partecipazione, calore e Jadowska è capace di far parlare la sua Ewa in maniera sincera, diretta, la rende simbolo di concetti, idee, temi spesso stigmatizzati: di solito si insegna e si cresce le giovani donne con l’idea che la maternità deve essere vissuta come una gioia che fa sentire vive e vitali, che riempie e non toglie nulla. Invece Dzikie Róże ci mostra che non sempre e così, che una donna ha bisogno anche di sentirsi parte di un progetto, di un noi: il suo rapporto con il marito e i figli si incrina e l’ossessione per quel ragazzo che l’adora la tormenta. Le cose si fanno complicate fino ad arrivare al momento in cui mentre è al campo di rose – in cui lei va spesso a raccoglierle per venderle -, Jaś, il suo figlio più piccolo, scompare. Lei prima urla, cerca e ricerca il bambino ma poi è costretta a chiamare il marito e chiedere il suo aiuto nascondendo il vero motivo per cui si trova lì.

Dzikie Róże: la narrazione dell’essere fallibili

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Proprio la sparizione del figlio mette in scena il suo non essere all’altezza: lascia il figlio piccolo, lo abbandona sulla coperta che aveva messo a terra. Il film porta al centro una donna fallibile, che ha bisogno di aiuto, di presenza; si è lasciata andare ad un altro perché è difficile per lei occuparsi di tutto, stare tutto il giorno con i due figli, non avere un compagno con con cui condividere preoccupazioni, pensieri, affanni. Dzikie Róże mette in evidenzia i nervi scoperti della società, della maternità, dell’essere donna e lo fa soprattutto in un momento importante di scontro tra un marito e una moglie, tra chi è lontano e chi è costretta ad esserci sempre e questo è spesso difficile. Andrzej e Ewa si parlano forse per la prima volta davvero: lui è arrabbiato, non capisce come abbia potuto abbandonare il bambino, la umilia e la minaccia, lei è disperata, spezzata – e non è la prima volta nel film -, si sente in colpa perché sa di aver sbagliato e questo potrebbe essere il secondo errore dell’ultimo periodo

Maternità, rapporti coniugali, amore e dolore si fondono in un dialogo che spiega molte cose sull’essere donna e essere uomo, sull’essere padre e madre, che dà il senso non solo della vita di Ewa e delle sue scelte ma anche del finale in cui i vari pezzi di lei si ricompongono; e forse proprio questo momento smuove un’opera che, soprattutto nella parte centrale, si perde nella sua stessa lentezza.

Dzikie Róże: una rappresentazione senza intenti censori della maternità e dell’essere donna

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Uno dei punti forti del film è la rappresentazione senza intenti censori e senza giudizi della maternità e dell’essere donna in una società che spesso etichetta, ghettizza e segna un strada unica per le donne – figure che quando escono dai binari, quando sbagliano vengono insultate, la figlia di Ewa dice alla madre che se fosse sparita lei il padre non avrebbe sofferto così tanto. La freddezza e la lentezza, nonostante la bravura dell’attrice, con cui viene raccontata la storia, fa sì che lo spettatore non si senta vicino a Ewa e resti sempre un passo indietro.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.2