Donnie Darko: recensione

Il futuro, la fine del mondo, i wormhole, le allucinazioni; e ancora grande recitazione, trama intrecciata e attrattiva, regia impeccabile.
Tutto questo è Donnie Darko.

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Donnie (Jake Gyllenhaal) è un ragazzo con evidenti problemi psicologici, in cura da una psicologa per i suoi problemi di sonnambulismo, generalmente indotti da Frank, un coniglio alto un metro e ottanta, dal muso sornione ed inquietante.
Frank è come un allucinazione premonitrice della fine del mondo, con un countdown che Donnie si ritrova scritto sul braccio, al momento del risveglio da una delle sue notti sonnambule (notte, che fatalmente, lo ha salvato da un motore staccatosi da una aereo, e che si è schiantato sulla sua camera). Questa pseudo-schizofrenia lo fa apparire agli altri come un liceale impopolare, intelligente sopra la norma, ma perso in un mondo a parte, che lo rende irascibile contro la sua famiglia.

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In realtà Donnie, senza volerlo, vede delle realtà alternative e un il futuro appena prossimo, caratterizzato da wormhole che partendo dal plesso solare, cioè dal petto, si muovono in spazi dove la persona poi effettivamente andrà.
I giorni verso la fine del mondo (prevista per il 28 ottobre), si fanno sempre meno, ma sempre più saranno le coincidenze tra quello che lui vive (anche una volta che si fidanza con Gratchel, ragazza dal passato e dal presente difficile) e tra quello descritto nel libro di Nonna Morte, donna, ormai anziana, ex suora ed insegnante, che ormai vive solo girando tra la casa e la cassetta delle lettere, nella speranza di trovare della corrispondenza.

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L’opera di Richard Kelly, del 2001, potrebbe inizialmente apparire come un thriller adolescenziale, con i soliti problemi legati alla crescita, e che, quindi, potrebbe cadere nella banalità; la genialità sta nel proporre, insieme a questi due temi, un mix di allucinante (ma non troppo) fantascienza futuristica e catastrofica, che cita, non a caso, la geniale trilogia di Ritorno al Futuro, di Zemeckis.
In Donnie Darko la regia è geniale, costituita da lunghi piani sequenza e riprese accelerate, oltre a quei pochi ma precisi ed adeguati effetti speciali che lo contraddistinguono.
Le riprese, durate 28 giorni come il tempo dato da Frank a Donnie, prima delle fine del mondo, hanno preso in essere un cast che ben si amalgama: Jake Gyllenhaal, nel suo ottavo film, dimostra sin da subito quell’immedesimazione vera, cercata e realizzata talmente bene da mettere i brividi (tanto da chiedersi come sia possibile che non abbia vinto nessun premio importante, ma questo è un altro discorso).
Il cast, che comprende Maggie Gyllenhaal, Drew Barrymore, Jena Malone e Patrick Swayze, è affiatato e il tutto scorre con leggerezza e senza intoppi, sia visivamente, che a livello di trama e di una recitazione eccelsa per tutti.

 

Giudizio Cinematographe

Regia - 4.1
Sceneggiatura - 3.9
Fotografia - 4.2
Recitazione - 4.4
Sonoro - 3.4
Emozione - 3.8

4

Voto Finale