Demon Slayer – Il treno Mugen: recensione dell’anime di Haruo Sotozaki
Demon Slayer - Il treno Mugen, l'anime di Haruo Sotozaki tra sogno ed action, disponibile su Amazon Prime Video.
Haruo Sotozaki dirige un anime di straordinario successo planetario, Demon Slayer – Il treno Mugen, che costituisce il sequel della serie Demon Slayer: Kimetsu no Yaiba. Di quest’ultima il film mantiene i medesimi presupposti narrativi, dunque incentra la trama sulla storia di Tanjiro, personaggio già amato da chi ha visto l’anime composto da ventisei puntate e basato sull’omonimo shōnen manga di Koyoharu Gotōge.
Nella versione filmica il protagonista, unitosi ad una squadra di ammazzademoni, sale sul treno Mugen per sconfiggere un demone che ha preso di mira quaranta passeggeri per farne sue vittime. Poiché, durante la serie, i familiari di Tanjiro muoiono per mano vampirica, egli non può tollerare ulteriormente la presenza di queste creature distruttive e quindi assume la missione di eliminare il demone che si è impossessato spiritualmente e fisicamente dei passeggeri del treno. Con l’aiuto del pilastro Rengoku, degli altri spadaccini e della sorella Nezuko, unica sua parente superstite, umana e al contempo demone, Tanjiro avverte una potente spinta vendicativa che possa ristabilire giustizia.
Demon Slayer – Il treno Mugen: l’anime di Haruo Sotozaki tra sogno ed action
Il film, della durata di due ore circa, può essere analizzato in due parti: i primi sessanta minuti sono caratterizzati da dinamiche narrative affascinanti che riguardano il mondo onirico: il concetto di sogno, infatti, diventa protagonista di una storia in cui il demone impossessatosi del treno fa sprofondare i passeggeri nel sonno stimolando in loro visioni oniriche piacevoli e al contempo conturbanti. Il concetto che presiede la sua azione è spiegato in un suo monologo: “Il mondo dei sogni che mostro ha la forma circolare e colui che vede il sogno sta al centro. Al di là dei confini c’è il subconscio dove è posto il nucleo dello spirito. Dovete distruggerlo, così chi vive quel sogno diventa un vegetale.”
Di base contorta, questa idea contribuisce al succedersi di scene intrise di emotività durante le quali i personaggi dormienti non si interfacciano soltanto ai propri sogni ma anche a quelli degli altri: “Questo è un sogno felice” afferma una passeggera posseduta dal demone riferendosi a Tanjiro che sogna di riabbracciare la sua famiglia.
Le immagini oniriche sono costruite registicamente in modo dinamico ed emotivo, mettendo gli spettatori in contatto con la disperazione interiore dei personaggi di cui lo spirito maligno si prende gioco.
Una volta terminata la prima ora, il film si incentra su una serie di combattimenti che si svolgono tra il protagonista, la squadra di ammazzademoni risvegliatasi e il demone; la lotta può risultare coinvolgente ma al contempo ha una durata eccessiva e fa disperdere le energie simboliche e affascinanti della prima parte del film. Dove finiscono le immagini dei sogni? Dove finisce l’alternarsi di immagini conturbanti in cui i sognatori visitano le altrui chimere?
In linea generale, la regia, la sceneggiatura e le musiche non brillano di particolare raffinatezza, piuttosto restano ancorate a un’espressività stilistica poco esuberante.
Nonostante queste considerazioni, il film non è di certo tacciabile di freddezza: l’emotività di Tanjiro e la sua rabbia interiore sono tangibili. Probabilmente è proprio questo aspetto a giustificare il successo internazionale del film, che ruota attorno a temi universali in cui ognuno si può identificare: la famiglia, il mondo degli affetti e l’impotenza psicologica dinanzi all’ingiustizia.