Korea Film Fest 2021 – Crocodile: recensione del film di Kim Ki-Duk

La recensione di Crocodile (Coccodrillo), il film del 1996 che porta con sé il magma narrativo e poetico di tutto il cinema di Kim Ki-Duk.

Crocodile vive aspettando sotto un ponte sul fiume Han i suicidi per sottrarre ai cadaveri i loro averi, un giorno salva un’aspirante suicida, Hyun-jung, e la obbliga a unirsi a lui, violentandola e abusando di lei; poi la costringe a vivere assieme a lui e ai compagni di sventura. Inizia così Crocodile, il primo lungometraggio di Kim Ki-Duk, presente al Korea Film Fest 2021 nella sezione dedicata proprio al regista.

Crocodile: il protagonista è un antieroe tipico del cinema di Kim Ki-Duk

Crocodile_Cinematographe.itVedere Crocodile con l’occhio di chi già conosce il regista è una visione sicuramente con un altro impatto, la parabola autoriale del cineasta forse perderà la forza e l’effetto dirompente dell’opera prima. Nello stesso tempo però si può notare come e quanto già nel suo primo film ci siano molti dei temi principali e della poetica propria del suo cinema. Il protagonista è il tipico personaggio, anti-eroe della sua filmografia: brutale, istintivo, silenzioso, capace di empietà deplorevoli ma anche di umanità inaspettata. Jo Jae-hyeon (Crocodile) dà corpo e volto ad un personaggio che lo spettatore odia, interpreta alla perfezione le sfumature del suo ruolo, costruendo una maschera compiuta, ambiziosa andando al di là della semplicità della narrazione. Crocodile è un parassita, è pronto a derubare i cadaveri dei suicidi, è brutale, uno stupratore che usa le donne come merci, è violento anche con i poveri disgraziati che abitano insieme a lui, addirittura con il bimbo che in ogni modo tenta di salvare Hyun-jung dalle grinfie del suo carceriere. L’uomo è tossico in vari modi e in vari sensi, costruisce con la sua vittima una relazione di dipendenza malsana, complicata dal fatto che quello di Hyun-jung era un suicidio d’amore: quando le giornate sono dure, quando è arrabbiato, in crisi, Crocodile si prende il suo gioco e tenta di dimenticare il peso della giornata e lei anche nel momento in cui potrebbe scappare non lo fa, ancorata a quell’abietto pezzo di mondo.

Kim Ki-Duk, all’epoca in cui ha realizzato Crocodile, non ha visto molti film, ignora le regole del linguaggio cinematografico, eppure c’è molto del cinema successivo, quello della marginalità, quel cinema moderno, spiazzante, profondo e complesso. In quello schermo vediamo la luce bluastra e l’elegia dell’emarginato, di chi all’ultimo posto della scala sociale, che compongono un mondo a tratti incomprensibile. Il regista gioca con le immagini, con le luci e le ombre: da una parte c’è la fotografia quasi luminosa, dei colori naturali delle scene sott’acqua, dall’altra c’è la fotografia livida, cupa delle scene di brutalità, notturne il più delle volte, che si svolgono in superficie.

Crocodile: tra sofferenza, violenza e voglia di sopravvivere

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Crocodile racconta un mondo di maschi, una sorta di gruppo composto di uomini che hanno come come leader Crocodile, branco che si sta evolvendo di fronte ai nostri occhi e che diventa quasi una famiglia quando arriva il personaggio femminile.

Crocodile mette in scena l’abiezione fisica e morale del protagonista che ruba oggetti e vite ma il regista è capace di dare possibilità di riscatto all’uomo, smuovendo la percezione dello spettatore, costretto a rimettere in discussione il proprio giudizio. La misoginia, il rapporto ai limiti del sadomasochistico che il protagonista instaura con la ragazza sono solo un mezzo per mostrare il degradamento e la punizione di sé stesso. Crocodile in ogni modo si svilisce e svilisce il mondo che lo circonda, si costringe a compiere i gesti più efferati per poi venire punito, viene picchiato, recluso proprio per i suoi gesti. Lui è un animale in gabbia, chiede in ogni modo di essere messo in prigione, messo in catene per non fare del male più a nessuno. Ci sono solo pochi posti dove tutto è più facile, dove le persone possono tornare al proprio stato naturale e uno di questi è il fondale del fiume. Solo lì possono ritrovare un simulacro di esistenza normale.

Quasi tutto in Crocodile è sofferenza e violenza; nessuno è capace di creare un mondo in cui si è in due, o almeno un pezzo di terra in cui includere una persona oltre sé stesso. C’è l’illusione di avere un amore, si può cedere al sogno eppure alla fine c’è solo una forza, quella di chi vuole sopravvivere.

Crocodile: un film che porta con sé il magma narrativo e poetico di tutto il cinema di Kim Ki-Duk

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Crocodile è un primo film che pone le basi per comprendere molto del cinema di Kim Ki-Duk. Come altre opere del cineasta anche in questo caso il regista porta sullo schermo un film difficile, singolare, complesso in cui i personaggi sono insopportabili, terribili e crudeli.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.7