TSFF 2019 – Code 8: recensione del film

La nostra recensione di Code 8, film con protagonisti i cugini Robbie e Stephen Amell e ambientato in un mondo di mutanti e apartheid.

Code 8 porta lo spettatore in un mondo dove, fin dall’epoca del proibizionismo, vi sono stati mutanti in grado di abbattere i confini delle normali capacità umane, individui in grado di sollevare centinaia di chili senza sforzo, di cambiare aspetto, controllare l’elettricità o muovere oggetti col pensiero. Col passare del tempo, però, da risorse e miracoli della vita, eletti in grado di aiutare la comunità, sono stati sempre più visti come estranei, nemici, mostri addirittura e oggi, in questo XXI secolo, sono al centro di una delle peggiori crisi economiche e sociali del mondo occidentale.

Conor (Robbie Amell) è uno di questi uomini disperati, poveri e senza futuro. Sua madre (Kari Matchett) è molto malata e non controlla più bene i suoi poteri, ma cerca di fare quello che può come commessa in un negozio. Attorno a loro intanto, dilaga il crimine ed in particolare il narcotraffico, nel quale è coinvolto Garrett (Stephen Amell), un mondo oscuro che per Conor diventerà l’unica possibilità di salvare la madre. Ma dovrà fare i conti con l’Agente Park (Sung Kang), deciso con gli altri suoi colleghi e mettere un freno alla attività criminali in una Lincoln City sempre più caotica e violenta, sorvegliata da forze di polizia altamente tecnologiche che spesso usano gli stessi metodi dei criminali che combattono…

Code 8: un film di mutanti che riflette sulla realtà attuale

Non è facile fare un film che parli dei mutanti creando qualcosa di nuovo, qualcosa che il pubblico non abbia già visto, dopo che gli ultimi 15 anni sono stati sostanzialmente un “assedio” verso il pubblico da parte del genere. Eppure la sceneggiatura di Chris Paré è riuscita ad ampliare e rendere assolutamente credibile e ben strutturato ciò che era stato mostrato nell’omonimo short film con il quale lui e il regista Jeff Chan tre anni fa avevano attirato l’attenzione.

In quel corto (dove erano già presenti i due Amell e Kang) era stata offerta al pubblico una realtà alternativa e non così distante dai disastri contemporanei a base di razzismo, violenza, esclusione e mancanza di diritti.

Certo, tra fare un corto di 10 minuti ed un film di 98 ce ne corre, eppure Chan e Paré sono riusciti nell’impresa di creare un film che non si perda per strada, che non collezioni deja vu e soprattutto che si differenzi da sostanzialmente tutto quello che il pubblico è stato abituato a vedere negli ultimi anni.

Code 8: tra hard-boiled e gangster movie, con Robbie Amell in ottima forma

Intendiamoci, Code 8 si basa sempre sull’assunto di base per il quale il diverso per l’umanità è sempre e solo un problema, un pericolo, e l’equazione mutante=apartheid non è affatto nuova, ma il modo in cui viene presentata in questo film lo è eccome. Niente umorismo da due soldi, niente battutine, niente ottimismo all-american, anzi un pessimismo e una mancanza di speranza nei protagonisti che strizza l’occhio alla Sin City di Miller, all’hard boiled, al crime, ai vecchi gangster movies dove Humprey Bogart prestava il suo malinconico sguardo a uomini dannati e persi, ma coraggiosi.

Il tutto esaltato dall’ottima fotografia di Alex Disenhof e da una regia puntuale, mai barocca o eccessiva, che sublima un Robbie Amell bravissimo a restare sotto le righe, ma senza risultare monocorde o non espressivo. A conti fatti il suo Conor non è mai un eroe, neppure un anti-eroe, la scrittura di Paré lo vede naufrago di un’esistenza che lo spinge, in modo irreversibile, verso un mondo criminale di cui però non abbraccia l’anarchico codice di comportamento.

Code 8 cinematographe.it

Code 8 sicuramente è attuale per il saper mischiare in modo sapiente elementi del fantastico con la realtà di tutti i giorni, con le periferie abbandonate, la polizia che a parte sparare ad ogni pié sospinto non sa fare altro, l’ineluttabilità di un crimine che è soprattutto disagio sociale, mancanza di prospettive.

Risulta soprattutto nei personaggi di contorno la ricchezza di questo film, nonostante vi sia un certo disequilibrio e una mancanza di approfondimento verso quelli di Stephen Amell e Sung Kang, forse non tutto è andato perfettamente in fase di montaggio, chissà… Ma rimane un risultato finale di assoluta genuinità, un b-movie che è tale solo per i mezzi a disposizione (nonostante gli effetti speciali siano tutt’altro che malfatti) e per il tono generale, lo scegliere una storia piccola, un micro-cosmo che ci parla del macro.

Un film se si vuole umile nelle intenzioni, ma per nulla umile nel risultato ottenuto, che dovrebbe essere esempio per quanti, nella Hollywood dei nostri giorni, a parte spendere patrimoni in CGI e star, non sanno fare altro. Di certo non sanno creare storie semplici ma accattivanti e ben strutturate come Code 8, perché coi soldi puoi fare tutto quello che vuoi, tranne compensare la mancanza di fantasia e audacia.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.8