Ciurè: recensione del film di Gianpiero Pumo

Ambientato in una Palermo vista da una prospettiva diversa dal solito, Ciurè è il racconto di due mondi distanti tra loro che, nonostante questo, finiscono per incontrarsi e per scontrarsi dando vita a un’inaspettata storia d’amore, non solo “romantico”.

Palermo, giorni nostri. Salvo è un padre che ogni giorno lotta contro la mancanza di lavoro e di opportunità concrete di rivalsa per dare al figlio tutto ciò che merita e “non fargli mancare nulla”, a costo di dover fare i conti con i fantasmi del passato e con attività non propriamente lecite, come riscuotere il pizzo per un piccolo boss della zona (suo ex cognato) dando sfogo a atti violenti che non gli si addicono, nel profondo. 

All’opposto di questa realtà ne troviamo una più pop, più colorata e che sembra avere sempre una parola positiva per ogni situazione della vita: c’è Ciurè, una ballerina transgrender che ogni sera si esibisce sul palco del Calatafimmina, un locale per la comunità LGBT di Palermo

Salvo e Ciurè, Cinematographe.it, copertina

Quando i due protagonisti si incontrano, per Salvo nulla sarà più come prima: insieme ai suoi pregiudizi, infatti, cadrà anche la maschera che è costretto a indossare mentre ogni giorno fa a pugni con la vita. Ciurè e Salvo sapranno curare l’una le ferite dell’altro e trovare una propria dimensione dove poter essere se stessi, dando nuova serenità anche al piccolo co-protagonista, Giovanni, l’amatissimo figlio di Salvo ormai muto da più di un anno in seguito a un trauma familiare che ha coinvolto la madre. 

Un film a tema LGBT? Ciurè è questo e altro: un saggio sulla genitorialità e su tutte le sfumature dell’affetto

Salvo, Gianpiero Pumo, Ciurè, Cinematographe.it

Presentato in anteprima la scorsa estate durante il Sicilia Queer Film Festival, il film Ciurèlungometraggio di esordio del regista Gianpiero Pumo (che nel film recita nel ruolo dello stesso protagonista) – è a prima vista una pellicola che parla d’amore, nello specifico di un amore inconsueto, inaspettato, quello tra un uomo non queer (e che a questo mondo non aveva mai pensato di affacciarsi) e una donna transgrender. 

Ebbene,  Ciurè parla – effettivamente – d’amore, ma considerare questi 102 minuti di girato solo seguendo la piega romantica e passionale che prende l’incontro tra i due protagonisti, sarebbe davvero riduttivo.
E lo sarebbe perché il punto di forza e la bellezza di Ciurè sta proprio nel fatto che il film, come un fiore, presenta tanti “petali” diversi, tante sfaccettature e focus più o meno dichiarati che sono più che piacevoli da guardare e leggere tra le righe. 

Il film di Gianpiero Pumo è infatti indubbiamente anche un film sulla genitorialità e su quell’amore puro e senza limiti che i genitori nutrono verso i propri figli, a tal punto da ritrovarsi a compiere azioni e prendere decisioni che mai avrebbero pensato di poter fare, pur di regalare ai propri piccoli un futuro migliore. 

Salvo è un personaggio che riesce a mettersi in gioco al momento più opportuno, che riesce ad affrontare con coraggio le sue battaglie, spinto dalle “good vibes” emanate dal personaggio di Ciurè, nella sua disarmante sensibilità e dolcezza. 

In ultimo luogo, Ciurè è un film che parla anche di amicizia (vedasi il personaggio dell’amico meccanico di officina di Salvo), come sfera degli affetti, ma anche – e in questo il regista è stato molto bravo nel farlo in maniera sottile, senza lasciare che il cliché prenda troppo spazio – del disagio sociale che tuttora città del Meridione come Palermo vivono, faccia a faccia con la mancanza di lavoro e la micro criminalità.

Le luci e l’odore del mare di Palermo fanno da sfondo a un film indipendente che ha i toni di un prodotto raffinato 

Vivian Bellina, Ciurè, Cinematographe.it

Un cast all’altezza della prova (con Vivian Bellina – nei panni di Ciurè – eccezionale nel suo primo ruolo sul grande schermo), un background tecnico ricco e una colonna sonora (con brani originali e canzoni italiane del panorama anni Sessanta e Ottanta) che fa venir voglia di ballare insieme ai protagonisti sul palco queer del Calatafimmina, completano una narrazione coinvolgente, che mantiene costante e vivo l’interesse dello spettatore durante l’intera durata del film.

Senza mai risultare invadente, inoltre, il dialetto parlato dai personaggi di Ciurè riesce a dare il giusto spessore alla storia e al contesto in cui questa stessa si inserisce. 

Ciurè è un film indipendente, ma non lo sembra. È un prodotto che mancava nel panorama del cinema LGBT italiano? Probabilmente, sì, ma non solo: è una pellicola che riscatta anche Palermo dalla solita monocorde narrazione della città in mano alla mafia, è una storia che si rivela come una fiaba alla rovescia, dove però il lieto fine non è poi detto che non ci sia. 

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.5