Caracas: recensione del film diretto da Marco D’Amore

Diretto e interpretato da Marco D'Amore, Caracas è un dramma a tinte dark e mistery, sospeso tra emotività e riflessione.

Adattamento cinematografico del romanzo di Ermanno Rea, dal titolo Napoli ferrovia, Caracas è il terzo film diretto dall’attore e regista Marco D’Amore, star di Gomorra – La serie. A 5 anni dal primo L’immortale e a 2 da Napoli magica, D’Amore torna dietro la macchina da presa a raccontare una storia di sogni e incubi, di speranze e illusioni, di violenza e calore, nella contraddizione di un mondo infernale, dove si è fragili e smarriti, crudi e impassibili, sognatori e passionali. Interpretato da Marco D’Amore e Toni Servillo, affiancati da Lina-Camelia Lumbroso, insieme a molti altri, Caracas è previsto in sala il 29 febbraio 2024, distribuito da Vision Distribution. Ambientato in una Napoli non convenzionale, lontana da ogni stereotipo, Caracas è un film ambizioso, coraggioso, importante e tristemente attuale.

Caracas e Giordano protagonisti di un’amicizia quasi impossibile

Caracas - cinematographe.it

Credits: Marco Dighelli

Il terzo lungometraggio di Marco D’Amore, secondo di finzione, si allontana da tutto ciò che l’attore e regista ha interpretato e raccontato prima, nonostante la città sia sempre Napoli. Ma è una Napoli che potrebbe essere in realtà qualsiasi altra città. Un luogo dove coscienza ed emotività devono cercare di camminare insieme, di non scontrarsi e dove Caracas, figlio di nessuno e protagonista di un’infanzia rubata e di un’adolescenza incompiuta, cerca una propria appartenenza. Trovandola prima in squadre d’assalto di estrema destra, con tanto di tatuaggi di croci celtiche e svastiche. E avvicinandosi poi ai gruppi islamici, gli stessi che credeva di odiare. Allo stesso modo Giordano ritorna in quel territorio dove sono radicate le proprie origini, che sentiva forte nell’animo, ma che si è trasformato in una città che non riconosce. Uno scrittore che decide e annuncia di smettere di scrivere si rende così conto che la propria crisi esistenziale e professionale è figlia di una sua mancanza, di un suo guardare con gli occhi meravigliati e nostalgici a un’atmosfera, un clima e un microcosmo che non esiste più. Come parlare agli altri quando devi narrare di qualcosa che non conosci?

Caracas racconta un’amicizia paradossale, un legame che proprio nel suo essere assurdo e incomprensibile è naturale, sentito, credibile e vero. Come lo sono le miriadi di realtà che il personaggio di Giordano vive. Lo scrittore del film è un inventore di sogni, un fautore di esistenze e universi che collidono in uno scontro fatale, dove anche lui si inserisce, immergendosi in un luogo che deve comprendere e conoscere per poter raccontare. Inizia così un viaggio nel labirintico tenebroso animo umano, quello più celato e sepolto, spesso pronto ad esplodere. Un percorso alla ricerca di un’identità: tematica universale della storia. L’identità è quella, opposta, di entrambi i personaggi, che tentano di scoprire con disperazione, frenesia e a volte rassegnazione, e che si manifesta solo quando si era ormai persa ogni speranza. Quella di Caracas è cosi una messa in scena che trasuda angoscia e tormento, ma che accende continui barlumi di fiducia e aspettativa in quei contatti umani che appaiono salvifici. Nella possibilità di trovare il proprio posto in un mondo in continuo cambiamento e sempre pronto a fare del male.

Tra recitazione, fotografia e regia, alla tecnica del film non manca nulla

Caracas

Credits: Marco Dighelli

Magistrale è Marco D’Amore nei panni di Caracas, emblema di una rabbia contaminata dalla ferocia di chi negli anni ha imparato a non fidarsi mai di nessuno. Allo stesso modo è straordinario Toni Servillo nel ruolo di Giordano, vittima di un’inquietudine che non trova mai una reale pace, non più neanche nella sicurezza della pagina bianca ancora da scrivere. Per non parlare di Lina-Camélia Lumbroso, seguita da un giovanissimo cast di bambini, unico elemento partenopeo che ricorda la Napoli oggi sempre più sfondo e ambientazione principale di molte storie italiane. Napoli è infatti come sempre anche qui personaggio, protagonista insieme a Caracas e Giordano, rappresentativa di temi e riflessioni. Si tratta però di una Napoli diversa da quella che si è più abituati a vedere, sempre suggestiva e sempre magica. Ma anche avvolta da un’oscurità che quel tipico calore scintillante e sole splendente sembra non averli mai visti. Una Napoli che forse non esiste, o che è semplicemente meno conosciuta rispetto alle tante facce e le tante anime che la capitale campana può assumere.

Strade e abitazioni che ricordano le baraccopoli, le slum, le bidonville del Sudamerica, del sud-est asiatico e dell’Africa subsahariana dove tra violenza e povertà si trova ancora modo e desiderio di ballare, cantare, esultare e innamorarsi, di sognare una vita diversa. Ma una forza di attrazione invisibile inghiotte anche coloro che pensano di aver scelto con coraggio di fuggire. Tra un progetto e un altro, i personaggi sembrano divisi tra sognatori e disillusi, e nel profondo convinti di avere un futuro già scritto. Caracas è un film emozionante e fortemente drammatico, che coinvolge maggiormente nelle scene che intervallano la narrazione, perché la storia è volutamente composta da schegge di uno specchio frantumato in mille pezzi che si tenta di rimettere insieme, e che mai sarà uguale all’originale. Ecco che la trama appare confusa, e ad appassionare sono soprattuto alcune scene ben specifiche. Quelle di torbida crudezza come il pestaggio dei musulmani, altre di cupa mostruosità come l’iniziazione di un nuovo membro del gruppo fascista, e quelle intrise di un vitreo surrealismo come quelle che presentano un’orfanotrofio che appare infestato di paura e fantasmi. E tanto lo spettatore, quanto il personaggio di Giordano interpretano ed entrano in contatto con l’ambiente circostante, guidati da Caracas stesso che ha, a sua volta, scelto cosa far vedere.

Il razzismo del 21º secolo

Caracas

Credits: Marco Dighelli

Anche se a volte il film può apparire difficile da comprendere a pieno, scardina e sdogana ogni stereotipo e non chiarisce mai realmente cosa sia frutto dell’immaginazione di un anziano scrittore che si aggira spaesato nei meandri della propria mente, e cosa derivi invece da ricordi sconnessi, da sogni incompleti o incubi spaventosi, vissuti in un passato vicino, ma comunque sempre indefinito. È estremamente esile, quasi impalpabile, il filo che divide la realtà dalla fantasia, la verità dalla finzione, l’ideale dal concreto. Con qualche scena e qualche sogno di troppo, le parti oniriche non sempre mostrano o raccontano, ma più ragionano e esplicitano che ciò che si vede potrebbe non essere mai accaduto. Il film funziona alla perfezione nel suo essere un insieme discontinuo di momenti, ricordi, fantasie, pensieri e incubi. C’è al tempo stesso una grande semplicità di situazioni inserite in un linguaggio tecnico e tematico sofisticato, e che diventano quindi portatrici di riflessioni che parlano all’oggi. Tra figure che si muovono nel buio dei vicoli di una Napoli irriconoscibile, negli angoli più nascosti all’ombra di edifici fatiscenti e semi abbandonati, ogni porta è scrostata e chiusa, e ai colpi disperati per entrare e salvarsi, non c’è mai nessuna risposta.

Caracas si arricchisce così di scene sorprendentemente incisive, tra cui quelle più violente e una sequenza che ritorna: l’attacco del gruppo di fascisti contro la comunità musulmana. Sono attimi di una crudeltà inimmaginabile e che vengono mostrati in tutta la loro brutalità, con una maestria registica che inquadra, alterna e stacca in un montaggio impeccabile. Nessuno sconto nella disumanità di un gruppo che trasuda odio, che inneggia alla discriminazione razziale e al nazionalismo di un’Italia troppo attuale e che di rabbia e disprezzo contro il diverso ne sa fin troppo. È così incredibilmente e tristemente contemporaneo il film basato su Napoli ferrovia, che se nel 2007 regalava un’aroma di futuristico, fa del romanzo di Rea un racconto premonitore. Come la città ha un’anima che è il ricordo dello scrittore e il presente di Caracas, anche le personalità di questi 2 uomini così diversi e distanti che trovano una vita comune in cui coesistere, sono sempre più sfaccettate, particolareggiate, e striate di momenti lontani senza una precisa collocazione temporale. Caracas potrebbe vivere solo all’interno di un intelletto creativo e visionario che ha perso il contatto con la realtà. Quanto c’è di vero nelle allucinazioni auto indotte di uno scrittore come Giordano? Quanto finisce per vivere più nei propri romanzi che nel mondo reale?

Caracas: valutazione e conclusione

Caracas

Credits: Marco Dighelli

Con una durata forse eccessiva, ma accettabile nella grande cura con cui ogni scena colpisce al cuore e chiarisce, Caracas è una ricostruzione: un ricomporre lentamente, prendendosi il tempo necessario, un contenitore di vite ed esistenze, cercando di completare un puzzle al quale mancherà, comunque, sempre qualche pezzo. Ma non ha importanza, perché non è il reale, l’oggettivo e il cronologico l’intento di Caracas, né lo è il suo messaggio. Giordano è spettatore e lettore di una storia che cerca di raccontare mentre la vive, preda di quella stessa macchina da scrivere e quei fogli dove appunta qualcosa su cui non ha però il pieno potere. E Caracas è un uomo ancora scosso dallo spasmodico richiamo di capire chi é e chi vuole essere, che cerca di costruirsi una propria identità e di diventare lui artefice del proprio destino. In un duplice percorso a ostacoli, entrambi si trovano di fronte a qualcosa di più grande di loro. I personaggi di Caracas naufragano in pochi secondi nell’essenza della vita e nel senso più profondo dell’esistenza. Quel senso che con la verità inizialmente cercata dai protagonisti finisce per avere nulla a che fare.

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Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.3

Reg 3 Fot 4 Emo 3 Rec 4 Son 3 Sce 3