Camp Courage: recensione del documentario Netflix

Un documentario breve, ricco di significato e significati, una prova di coraggio che non può non colpire come un pugno nello stomaco in un'epoca profondamente definita da conflitti sanguinosi.

Camp Courage arriva in streaming su Netflix in un momento storico particolare, cruciale, che divide l’opinione pubblica ancora una volta. Solo nel 2022, infatti, il mondo si è diviso ideologicamente in due fazioni ben distinte a causa di un atto di guerra inevitabile, spartiacque della modernità: il conflitto tra Ucraina e Russia ha creato una crepa nella pace costruita negli ultimi ottant’anni, una impensabile ferita che ha fatto risuonare globalmente l’eco della Seconda Guerra Mondiale.

La paura continua con il recentissimo conflitto tra Palestina e Israele, un altro terribile atto di guerra che mette in pericolo due popoli, con i loro innocenti, i loro rifugiati in cerca di riparo e salvezza. Camp Courage – un documentario di appena 33 minuti diretto da Max Lowe – sceglie come protagoniste della sua storia una nonna, Olga, e la sua nipotina, Milana, di dieci anni. Entrambe si trovano in villaggio estivo tra i boschi e le montagne della splendida Austria, insieme ad altre famiglia e altri bambini. Ma la loro storia somiglia assolutamente a quella degli altri nipotini e le loro nonne: Olga e Milana sono fuggite dal conflitto ucraino-sovietico e sono in cerca di un luogo che le ospiti, che le salvi dal sangue e dalle bombe che hanno distrutto la loro casa. Lowe racconta una storia di speranza, crescita, amore, coraggio con una regia delicata ed emotiva, piena di significato e intelligenza.

Camp Courage è una storia di lotta, crescita e speranza: Olga e Milana superano le loro paure attraverso una arrampicata tra i monti dell’Austria

Camp Courage Netflix - Cinematographe.it

Camp Courage è un piccolo documentario, una storia semplice che riempie la vita dello spettatore di vita per mezz’ora, trenta minuti nella vita di una ragazzina rifugiata e della sua coraggiosa nonna. Come loro, anche le altre famiglie presenti nel documentario sono spesso formate da rifugiati ucraini accolti dall’ex veterano di guerra Nathan Schmidt, creatore della Mountain Seed Foundation. La Fondazione si è presa a carico la cura di alcuni cittadini ucraini in fuga dall’attacco russo, organizzando un campeggio pronto ad ospitare sia i giovanissimi che i loro guardiani, nel tentativo di creare cameratismo e resilienza in queste vittime innocenti.

Olga e Milana, in questo contesto, si trovano ad affrontare le conseguenze del loro trauma, un trauma che inizia molto prima della guerra. Milana ha perso la sua mamma alla tenera età di 4 anni a causa di un bombardamento che ha colpito la regione ribelle di Mariupol. Insieme a parte della sua famiglia, la bimba ha perso anche una gamba: vediamo, nelle immagini di Camp Courage, che la piccola ha una protesi alla gamba sinistra. La sua fragilità fisica non è lo specchio, però, di una personalità debole o una volontà volubile. Il carattere ribelle – e spesso antisociale – di Milana viene mostrato nelle immagini che la ritraggono nel campeggio, alle prese con i suoi compagni di viaggio ma soprattutto con gli elementi naturali. Milana non ama l’attività scelta per i residenti del campeggio: il trekking, la scalata di una montagna. E non è solo la sua difficoltà fisica a riempirla di preoccupazione e paura: la scalata è una lotta contro se stessi, contro i propri timori, la propria insicurezza. La faticosa risalita verso la vetta è una metafora dolceamara della vita, un ostacolo fisico e simbolico da scalare e superare.

Milana – in compagnia della sua affezionata nonna Olga – è seguita dall’occhio incredibilmente dolce e abile del regista Max Lowe, che riesce con perizia e amore a creare uno splendido scorcio di umanità anche nella bruttura della guerra. Il conflitto della macro-storia viene messo da parte, usato come punto di partenza, per raccontare una vicenda di conseguenze, crescita, guarigione, conflitto, amore. La famiglia e la perseveranza, la compagnia e il calore degli altri esseri umani, una montagna spaventosa da scalare ma in cima alla quale si può provare finalmente la bellezza, il vento, la libertà sono i protagonisti di questo documentario piccolo e gigantesco. La figura di Nathan, forse la più brillante dell’opera, è un canto di poesia verso la vita, il pentimento e la capacità di ricominciare. Il suo passato nei combattimenti dell’Iraq, le vite rubate, il sangue versato, trovano un senso ed una risoluzione nella sua capacità di prendersi cura degli altri.

Il documentario si conclude con un messaggio di speranza e pace che parte da Olga e si espande negli anfratti più remoti del mondo, rivolto a tutti, un grido di solidarietà che abbraccia ogni uomo, donna, bambino coinvolto in un conflitto ingiusto e brutale, ogni vittima innocente.

Camp Courage: conclusione e valutazione

Camp Courage è un piccolo documentario dal messaggio monumentale, un abbraccio e un invito all’umanità intera. L’occhio intelligente, pieno ed essenziale del regista Max Lowe è una benedizione, un dono al genere documentaristico. Le protagoniste della storia, una nonna e una nipote dal passato terribile ma dal legame inscalfibile, sono esseri umani in tutte le loro fragilità, difetti, paure e meraviglie. Sono mostrate nei loro veri colori, senza edulcoranti o sottrazioni strategiche, ed è proprio in questa fedeltà totale alla loro realtà che il messaggio di coraggio e speranza arriva in tutta la sua pienezza, con una forza devastante e rinvigorente. In un panorama globale come quello che si prospetta davanti ai nostri occhi, un’opera come Camp Courage sembra necessaria ed obbligatoria, un messaggio di pace in un mondo che ne sta dimenticando il valore.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.3

Tags: Netflix