Caina: recensione del film di Stefano Amatucci

L'opera prima di Stefano Amatucci si rivela essere una delle più particolari degli ultimi tempi, presentando allo spettatore un universo allucinante privo di pietà ed empatia.

La tragedia dell’immigrazione clandestina, con il suo strascico di morti, drammi e disumanità, è stata trattata in molti modi diversi dal cinema, dall’arte, dal teatro. Tuttavia, l’approccio di Stefano Amatucci nel suo primo lungometraggio, è sicuramente uno dei più difficili da interpretare e da comprendere nella sua finalità e visione d’insieme. A tratti molto efficace, potente, viscerale e personale – pure al netto di una serie di elementi discordanti – Caina è sicuramente uno dei prodotti cinematografici italiani più particolari degli ultimi tempi.

Tutto viene fatto partire su una misteriosa spiaggia del  sud Italia, dove Caina (Luisa Amatucci) è intenta a fare il suo lavoro. Un lavoro non particolarmente nobile, piacevole o invidiabile. Caina infatti è una “trovacadaveri” con un passato da killer mafiosa. Ora il suo compito è quello di trovare, recuperare e catalogare i corpi di quanti, tentando i viaggi della speranza verso il nostro paese, perdono la vita in mare. Mille popoli, mille razze, mille volti di mille morti che però ai suoi occhi xenofobi, maligni, aggressivi e sofferenti sono tutti uguali, tutti simili nell’incarnare il diverso, l’altro, il terrorista, lo straniero inferiore e portatore di una miseria che lei ben conosce e odia. Tuttavia Caina ha dei concorrenti, degli immigrati clandestini che si preoccupano di rubarle i cadaveri, incuranti della pistola con la quale la donna difende i suoi 15 euro lordi. Tanto le viene dato per ogni corpo recuperato!

In un universo ostile, claustrofobico, Caina si troverà a fare i conti con Nahiri (Helmi Dridi), immigrato clandestino, ex appartenente alla spietata banda che le ruba i corpi ed i soldi, deciso a restare umano per quanto possibile. Tra i due in breve, stretti in una morsa tra incomprensione, rabbia, solitudine ed intolleranza, si svilupperà un rapporto dagli esiti imprevedibili, assediato da un mare portatore di morte e rimpianti.

Caina è uno dei film più particolari degli ultimi tempi

Caina Cinematographe.it

Caina deve molto della sua potenza all’ottima regia di Amatucci, alla fotografia di Roberta Allegrini e Rocco Marra, nonché al montaggio sempre efficace di Paco Centomani. Ambientato in un luogo-non luogo che è al contempo familiare ed estraneo, Caina guida lo spettatore in un universo allucinante, presago di morte, dove la pietà e l’empatia sono assolutamente assenti se non in quel Nahiri che funge da isolato e debole appiglio all’umanità e alla comprensione in un’epoca storica, la nostra, dipinta come l’epoca dell’odio tra poveri, tra disperati. I corpi hanno significato solo da morti, da vivi non valgono nulla, le loro storie pesano meno dei sacchi di plastica dove Caina, essere mostruoso e fragile, li ripone senza provare nulla per loro, almeno apparentemente.

Perché se vi è un elemento di veramente grande pregio in questo film, è proprio la costruzione di un personaggio assolutamente imprevedibile, che fugge ad ogni cliché, ad ogni percorso di maturazione reale od apparente. Avvolta da un odio ed una sofferenza che stringe a sé come una coperta nelle ore fredde, Caina vive della voce e del volto taglienti di una Luisa Amatucci assolutamente perfetta nel farsi odiare e compatire ad un tempo dallo spettatore. Né cattiva né definitivamente buona, la sua Caina è semplicemente ignorante, insicura, senza speranza e prospettive, e la Amatucci maestra nel renderla così familiare, così comprensibile nella sua tutt’altro che banale vicenda umana.

Caina: un universo allucinante privo di pietà ed empatia

Caina Cinematographe.it

Il resto del cast, che comprende Isa Danieli,  Nadia Kibout, Mario Porfito e Gabriele Saurio, è ottimamente guidato nel percorso da Amatucci. Tuttavia, non tutto in questo film atipico, a metà tra il pasoliniano e il docu-film puro, convince appieno. Sopratutto la sceneggiatura di Amatucci e Davide Morganti (autore dell’omonimo romanzo), commette forse l’errore di sposare una linea narrativa troppo esagerata, troppo monocorde nel suo essere costantemente sopra le righe, e utilizza in modo molto carente un personaggio così carico di significati come quello di Nahiri, che poteva e doveva essere maggiormente articolato. Sovente quindi Caina sembra accontentarsi di proporre sensazioni viscerali, ma non le elabora, non le approfondisce, non le porta a compimento, sperdendosi in un labirinto di rancore espresso sovente in modo eccessivo.

Caina conta momenti di grande potenza, di grande significato; felice è sopratutto la dimensione soprannaturale, il contatto col mondo dei morti, di grande effetto e poesia. Ciò che funziona poco e male a livello di intreccio è però anche l’universo di riferimento, che suggerisce una certa incertezza tra la dimensione di un racconto naturalistico e quello di un’allegoria terribile e metaforica. Alla fin fine l’irrealtà supera il lecito, il percorso si arrotola su sé stesso, l’esagerazione diventa troppo presente, stracciando elementi di profondità tanto richiesti quanto attesi in un racconto così importante. Di certo non è un film per tutti, un film accessibile o facile.

Caina Cinematographe.it

In ultima analisi, Caina non mantiene tutto quello che promette, tutto quello che potrebbe, ma rimane la nobiltà dell’intento, la forza nel colpire lo spettatore, l’essere distante dalla componente pseudo-televisiva che sovente ammorba ed affossa i cinema quando ospitano pellicole italiane. Il che non è poco dati i tempi che corrono.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 2
Emozione - 3.5

2.9