TSPLUSF – Blade of the immortal: recensione del film di Takashi Miike

La recensione di Blade of the immortal, il nuovo film di Takashi Miike che stupirà ed appassionerà anche i non amanti del genere

Creato da Hiroaki Samura, L’Immortale è stato uno dei manga di maggior successo e popolarità, una popolarità durata dal 1993 al 2012, che ha dato il via a romanzi, artbook e serie animate. Ora, diretto dal grande Takashi Miike, arriva la trasposizione cinematografica, dal titolo Blade of the Immortal (La Spada dell’Immortale). Come nel caso dell’originale cartaceo, la storia è ambientato al tempo dello shogunato Togukawa, più o meno alle fine del 18esimo secolo. Accolto in modo trionfale al Festival di Cannes di quest’anno, il film è la centesima opera di un regista capace come pochi altri di fare da ambasciatore del cinema giapponese per il mondo, ed autore di capolavori come The Happiness of the Katarius, IZO, Sukiyaki Western DjangoYattaman 13 Assassins. Cineasta capace di spaziare nei generi più disparati, è considerato da colleghi del calibro di Quentin Tarantino o Eli Roth un punto di riferimento irrinunciabile e un maestro della sperimentazione.

In questo Blade of the Immortal , il regista fa del tormentato ronin Manji (Takuya Kimura) il protagonista di questa danza macabra nipponica. Guerriero che a seguito di un tremendo scontro è stato salvato in punto di morte da una strega che lo ha reso immortale e capace di guarire da ogni genere di ferita, Manji vive impossibilitato ad abbracciare una morte che agogna ogni giorno di più. A spezzare la sua monotona esistenza giunge però la visita della giovane Rin Asano (Hana Sugisaki), figlia di un maestro di spada massacrato senza pietà con tutti i suoi allievi dagli appartenenti alla scuola Ittoryu, capitanati dal giovane, ambizioso e spietato Kageisha Anotsu (Sota Fukushi). La giovane chiede aiuto a Manji, per vendicarsi di questa setta, che mira a conquistare tutte le altre scuole riunendole sotto il suo comando e a rilevare una posizione di prestigio all’interno dello stesso shogunato.

Comincia così il peregrinare di questa strana coppia, lo spadaccino e la ragazzina, caratterizzato da un’infinita serie di duelli, battaglie, colpi di scena, in un mondo pieno di assassini e guerrieri dai mille volti, mille personalità ma tutti saldamente dannati nell’anima a causa della loro stessa abilità con le armi. l’iter narrativo si snoda all’interno di un universo dove ognuno può diventare allo stesso tempo buono e cattivo, crudele e compassionevole, vittima e carnefice.

Scritto da Tetsuya Oishi (che ben si è adoperato nel condensare il materiale creato da Samura), Blade of the Immortal si avvale della straordinaria fotografia di Noboyasu Kita e della eterogenea musicalità di Koji Endo, capaci di sorreggere una regia di Miike assolutamente sensazionale.

Film intenso, ben calibrato e fantasioso, è attraversato (come molti altri film del cineasta nipponico) da uno humor nero ben dosato che in molti momenti decostruisce e modifica in toto il concetto di violenza cinematografica, quasi rendendola parodia di sé stessa o del genere a cui appartiene. A conti fatti Blade of the Immortal è quasi una parodia cinica ed ironica del mito del cavaliere solitario, del guerriero errante, così amata e divinizzata nella cinematografica del Sol Levante. Straordinario nell’uso della luce del colore, ha al suo interno dei dialoghi mai banali e stantii, ed3,5/ in Kimura un interprete credibile, simpaticissimo e perfetto nel donare al suo Manji la giusta sfaccettata personalità: quella di un uomo che non crede più in niente, stanco della vita, della sua spada, di sé stesso e di un’immortalità che sembra essere ormai una punizione senza via di uscita.

Come in molti altri film di Miike, anche qui tra i temi vi è la vendetta, l’amicizia virile come sarebbe piaciuta a Sergio Leone, la famiglia o meglio la mancanza di quest’ultima. Perché a ben vedere tutti i protagonisti, tutti i pittoreschi guerrieri di questa macabra favola, sono senza radici, senza origini, che hanno perso per propria volontà o per un triste gioco del destino. La famiglia, il retaggio (fondamento della cultura giapponese) sono decostruiti, resi polvere, descritti come trappola che imprigiona il futuro dei protagonisti, li rende succubi delle colpe dei padri, di questo concetto dell’onore e della vendetta che stronca la libertà, i sogni. Miike del resto si è sempre scagliato nei suoi film contro quelle che reputa le assurde tradizioni ed i dogmi di una società troppo cristallizzata, troppo presa dal passato per costruire in modo sano e costruttivo un futuro diverso dal già noto.

Il cast comprende un algido e credibile Sota Fukushi, perfetto nel delineare un cattivo atipico, imperscrutabile, affascinante e le cui motivazioni sono svelate poco a poco; Erika Toda, Chiaki Kuriyama e tutti gli altri si muovono dentro le loro armature, le loro spade, i loro look stravaganti ma azzeccatissimi, perfetti nel renderli così diversi eppure così simili gli uni agli altri, così lontani dal bene o dal male assoluto, così schiavi di una morte che elargiscono e attendono con la stessa indifferenza.

Straordinario nelle coreografie di combattimento (a metà tra il realistico e il fantasioso) Blade of the Immortal stupirà ed appassionerà anche i non amanti del genere, e può essere considerato una summa stilistica e tematica di un regista atipico, fantasioso, genuino e versatile come pochi altri.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 3.5

3.8