Beast: recensione del film di Michael Pearce

Un thriller psicologico interessante e ben fatto.

Arriva in Italia il 9 settembre 2021 con P.F.A. Films, Beast – presentato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival il 9 settembre 2017, distribuito nei cinema nel Regno Unito il 27 aprile 2018 -, il film d’esordio di Michael Pearce che mette in scena una favola nera orrorifica piena di ombre, segreti e oscurità. Nella selvaggia e claustrofobica isola di Jersey, nel canale della Manica, Moll vive con la famiglia, si prende cura del padre malato e segue la rigida disciplina con cui la madre l’ha cresciuta e la cresce. La ragazza ha un portato di dolore, violenze subite e inflitte, per questo c’è tanta rigidità, per questo viene così tanto controllata, quasi segregata anche se non imbrigliata con lacci e catene. In quell’isola c’è un altro dramma, un serial killer che stupra e uccide le ragazzine, c’è da trovare un colpevole e la polizia locale pensa che l’indiziato numero uno sia il giovane Pascal, primo grande amore di Moll che da lui si sente amata e capita come da nessun altro mai. Il film, che racconta la bestialità fin dal titolo allineandosi alla brutalità umana e della vita di Moll, narra un incontro fatale e violento tanto quanto il Male che vive in quelle terre.

Beast: una favola nera che turba

C’era una volta in una piccola isola lontana, la piccola Moll, viveva in una casa con la sua famiglia che la amava, con la madre preparava torte e intrecciava ghirlande di fiori, con il padre passava i pomeriggi nel loro curato giardino. Un bel giorno incontrò il Principe Azzurro, un ragazzo bellissimo, dal cuore d’oro e nobile d’animo, si innamorarono e vissero felici e contenti.

Sarebbe stata così la storia di Moll se Beast fosse la classica favola che si legge ai bambini per farli addormentare ma questo invece è un incubo, un racconto ansiogeno in cui il dramma e l’oscurità calano su ogni cosa, sulla vita di Moll, su quella della sua famiglia, su tutta l’isola. Pearce nelle varie interviste dice che ha voluto utilizzare gli archetipi delle favole per portare sullo schermo una sorta di coming of age ancora più straziante, un dramma psicologico: Moll, interpretata da Jessie Buckley, è una imperfetta, quella che si potrebbe definire una ragazza interrotta, ha un bagaglio doloroso alle spalle e deve farci i conti, pesa su di lei una colpa che è come una lettera scarlatta. Lei, su quell’isola, con cui “comunica” lungo tutto il film – si ciba della terra, viene travolta dalle onde -, elemento essenziale della storia, personaggio a tutti gli effetti, matrigna con il suo fango e le sue notti mostruose ma anche splendida, piena di luce, vivida e solare, è abitata da demoni, dal senso di colpa, dalla paura, cose che la animano, tra incubi e ricordi si strugge ed è proprio questo il nocciolo nero di Beast ma poi c’è l’amore, la luce, la speranza che qualcosa di bello possa toccare anche lei.

Arriva, grazie a Pascal, a credere che il Male si possa estirpare, come il pelo superfluo che strappa davanti allo specchio, come quelle malattie che prendono silenziosamente e all’improvviso. L’incontro con Pascal (Johnnie Flynn) sembra arrivare al momento giusto, l’ennesima lite furiosa il giorno del suo compleanno, con la madre (Geraldine James), spesso crudele, insensibile, con tutte le sue regole, imposizioni, recriminazioni: lui così l’ombroso affascinante, misterioso, lui, l’unico che la può capire davvero per quel passato tragico. Lui con lei è così dolce, la guarda con occhi con cui nessuno l’ha guardata mai, è una storia la loro passionale e viscerale; poi arriva l’ennesimo scherzo crudele del destino: c’è un serial killer e il nuovo amore di Moll è ovviamente tra i sospettati. Pascal il Principe è forse il Lupo, lei non è Biancaneve, tenera e candida ma è una ragazza con mille problemi in sé e fuori di sé. La protagonista per il ragazzo rinuncia a tutto, lo difende a spada tratta di fronte alla famiglia, alla Polizia, alla comunità, nonostante le notizie che ascolta, e il loro rapporto è spaventoso, a tratti “scandaloso”, pungola lo spettatore: tu se fossi in lei cosa faresti? Fino a quando difenderesti a spada tratti senza chiederti/chiedere nulla?

Beast mette in scena la disarmonia, il tragico umano e sociale, i corpi altrettanto disarmonici e tragici di Pascal e Moll emarginati da una società perbenista e squallida e si scende così nelle loro zone rosse, nelle porte chiuse, negli scomparti serrati a chiave di mente e animo.

Beast: un thriller che usa gli stilemi per poi fare anche molto di più

Il film trae ispirazione dalla storia vera della Bestia del Jersey, predatore sessuale attivo in quei luoghi negli anni Sessanta, affonda a piene mani nel magma dello strazio che Molly porta addosso. Lei è ingabbiata in una cella di silenzi che gli altri e lei stessa hanno costruito, la giovane è tutta complessità e necessità di essere capita, abbracciata, invece vive in un piccolo mondo antico in cui il diverso è additato e rigettato. Pearce usa gli stilemi del thriller – la madre cattiva, l’educazione castrante, la natura che avvolge e partecipa alla storia – per raccontare la crescita e la presa d’atto di una donna tormentata che decide di ascoltarsi, di guardare finalmente il mondo squarciando quella membrana che le rendeva impossibile vedere veramente e nel profondo. La storia è come quei fiori rari che si mostrano a poco a poco, è capace di tenerci con il fiato sospeso, si avvolge e si srotola più e più volte portando lo spettatore dentro un labirinto da cui è difficile, se non impossibile, uscire. Il film è il racconto di una emancipazione dalla sé del passato, dalla famiglia, dalla società, di una crescita che non mette da parte lacerazioni profonde, si prende il tempo di far vivere il personaggio, di fargli conoscere l’amore e la libertà, solo così potrà vivere una tragica e violenta serenità che però la scuoterà fin dentro le viscere. Per diventare grandi, per capire la differenza tra Bene e Male, si deve per forza perdere qualcosa, distruggere parte di ciò che si è e Moll è messa di fronte a questa enorme prova.

Beast: un interessante opera prima che sorprende sotto molti punti di vista

Beast riesce a utilizzare l’archetipo pur fuoriuscendo dai contorni che il genere impone, non è mai banale anche quando deve seguire le “regole”, scrive due personaggi dettagliatamente, sceglie un cast che non delude, sorprende turbando nell’intimo. L’opera prima di Pears è un thriller psicologico interessante, ben fatto, che ci tiene con il fiato sospeso fino alla fine diventando quasi un horror, è un poema che pone al centro un’antieroina che non combatte contro streghe cattive e lupi ma con una madre castrante, un amore di cui forse deve temere e un passato di cui ancora si vergogna.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4
Emozione - 4.5

4.2