Anna: recensione del film con Anna Mouglalis

La violenza di genere raccontata con un occhio crudo e realistico dal regista canadese Charles – Olivier Michaud, con una straordinariamente intensa Anna Mouglalis

Anna è una giornalista occidentale, indossa pantaloni, fuma sigarette, si trucca poco, porta magliette aderenti ed ha un atteggiamento fiero e combattivo. Documenta storie di disagio ed ingiustizia. Di solito in parti del pianeta lontane dalla sua. La protagonista del film Anna di Charles – Olivier Michaud si presenta come una figura sana e solida. Una di quelle donne di cui ascoltiamo con ammirazione, perché è coraggiosa e racconta con fierezza i mali del mondo come se fossero i suoi. Ma quando un reportage sulla tratta degli esseri umani ed il turismo sessuale nel Sud-Est asiatico la porta a vivere l’esperienza più raccapricciante della sua vita, per un momento la sua maschera di forza ed emancipazione, costruita con secoli di lotte, salta senza mezzi termini, per lasciare il posto alla solitudine, alla paura, alla resa.

Anna: dal raccontare al vivere l’orrore

Anna è un film importante, è un silenzioso e cupo viaggio di una donna che, da essere l’occhio, distante seppur vicino e poi il megafono di ingiustizie che si consumano in luoghi che per tutti noi sono semplicemente “esotici”, diventa vittima dello stesso orrore che denuncia. Dopo aver consolato ragazze vendute come carne da macello e violentate quotidianamente per prassi, occuperà lei stessa le braccia consolatorie di chi la vede smarrirsi nel suo dolore, e che solo in quel momento capisce di avere le piene facoltà di raccontare.  Il cuore pulsante del film è la bravissima Anna Mouglalis, dalla voce bassa e dal corpo esile e androgino, quasi a ricordare con amara ironia una dimensione maschile, una forza che si esprime a partire dalla sua espressione corporea, dallo sguardo sicuro di sé, in netta contrapposizione con gli sguardi terrorizzati e rassegnati delle giovani donne che intervista nella prima parte del film e che vuole disperatamente proteggere, fino a trovarsi nella loro stessa situazione di sopruso. È come se la sua esperienza fosse, paradossalmente, il completamento del suo avvicinamento a queste donne, fino all’immedesimazione reale, fino alla sovrapposizione col loro dolore, fino al rapporto d’identità totale con loro.

Anna: il punto di vista di un uomo

Può stupire il fatto che sia di un uomo l’occhio di questa storia, ma il regista , il 38enne canadese Charles – Oliver Michaud, riesce a farsi voce di un percorso emotivo, prima ancora che sociale, empatico, prima ancora che politico, che una donna vittima di violenza deve affrontare. Un percorso squisitamente e inevitabilmente femminile. Lo sguardo di Michaud è realista nelle ambientazioni, scarno nei dialoghi, agile nella regia. Non rinuncia a giocare con le immagini, sfruttando l’espediente della professione di fotografa e giornalista della protagonista, non rinuncia anche a tocchi di ricercatezza nella pulizia e nella simmetria di alcune inquadrature. È un occhio chiaramente maschile, ma che riesce a raccontare senza banalizzare, minimizzare o gettare ombre controverse, una storia di abusi subita da una donna occidentale mentre cercava a sua volta di raccontare quell’Oriente martoriato e popolato da figure femminili incantevoli e ripetutamente brutalizzate.

Anna: la paura e la denuncia

La seconda parte dell’opera scorre lenta come il nuovo ingresso nel mondo di Anna, scorre dolorosa come la ricostruzione dei fatti nella sua testa, una volta tornata a casa, in Canada, in Occidente, “al sicuro”. Ma Anna non si sente al sicuro mai durante il film, come non ci sentiamo al sicuro noi, che insieme a lei sobbalziamo ogni volta che qualcuno bussa alla sua porta e ci aspettiamo il peggio. La paura che una donna vittima di violenza continua a provare per il resto della sua vita rimane probabilmente il messaggio più chiaro, più forte, espresso non con le parole (ben, apprezzabilmente, poche) ma con gli sguardi, i suoni, i flashback, le immagini. Ma, sempre senza banalità, la catarsi è immancabilmente nel racconto. Ma stavolta, per Anna, sarà un racconto in prima persona: “Non l’ho visto, l’ho vissuto”, dice infatti la protagonista nel monologo finale, in cui, come in un inno alla parola di denuncia, si dichiara simbolicamente portavoce del dolore di tutte. Non ci troviamo davanti ad un film facile, per crudezza delle immagini, perché non è interessato a nessun “finale sorprendente”, perché originale, in quanto lontano dalla facile spettacolarizzazione del dolore, pur non omettendo un solo grido, una sola lacrima o ferita, fisica e psicologica. Michaud, che già dal suo primo film del 2010 Snow and ashes aveva seminato un’apertura verso un respiro sociale, si rivela un autore profondo ed umile rispetto ad un tema che difficilmente ha trovato aderenze di spessore del racconto tra i suoi colleghi uomini.

Il film sarà nelle sale in Italia da giovedì 31 Maggio.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.5