Alice Attraverso Lo Specchio: recensione

Ci eravamo lasciati nel 2010 con Alice in Wonderland, il film di Tim Burton che aveva fatto discutere e non poco e ci ritroviamo nel 2016 con Alice Attraverso Lo Specchio, sequel del film Burtoniano diretto da James Bobin (che dopo la direzione di due lungometraggi sui Muppets è approdato in questo grande progetto) e con il ritorno del cast originale composto da Mia Wasikowska, Anne Hathaway, Helena Bonham Carter, Johnny Depp e il nuovo entrato Sacha Baron Cohen nei panni del Tempo, figura non retorica ma esistente in carne e ossa. Evitando l’ennesimo indegno paragone con la trasposizione letteraria del film (sarebbe un vero oltraggio all’opera straordinaria di Carroll) andremo ad analizzare il tutto con uno sguardo disinteressato e privo di pungenza di chi ama le humanae litterae. Fondato e costruito sull’impianto dell’originale film di Tim Burton (che qui compare in veste di produttore) Alice Attraverso Lo Specchio è l’esempio di come il concetto cinematografico di “punto a capo” ancora sia ben distante da quelli che sono i canoni del vero cinema. Sicuramente il film di James Bobin mostra tutti i limiti e le lacune di un sequel, che non si fermano solamente alla riproposizione dei personaggi già sufficientemente tratteggiati in Alice in Wonderland (unica figura degna di ammirazione è il Cappellaio Matto di Depp). Oltre al tema del “già visto”, il sequel presenta un’eviscerazione dell’aura sacrale Burtoniana, divenendo così un mero prodotto d’intrattenimento, gradevole senza dubbio per i più piccoli, ma infine, eccessivamente povero dal lato della sceneggiatura (davvero carente). Va sottolineato che da una base di scrittura instabile a risentirne è anche la resa del cast, poco tratteggiato e gettato nella mischia su indicazioni risalenti al 2010. Ci si aspettava molto di più anche dal personaggio di Sacha Baron Cohen, buono nella sua interpretazione anche se sufficientemente delineato e approfondito, reso per la maggior parte del tempo più come figura quasi atellana che come vero cardine dell’opera.

Alice (Mia Wasikowska) returns to the whimsical world of Underland and encounters Iracebeth, the Red Queen (Helena Bonham Carter) in Disney's ALICE THROUGH THE LOOKING GLASS, an all-new adventure featuring the unforgettable characters from Lewis Carroll's beloved stories.

La storia di Alice Attraverso Lo Specchio è ambientata, ovviamente, dopo i fatti di Alice in Wonderland, dove la giovane Alice Kingsleigh è ormai cresciuta divenendo con il tempo capitano di una grande nave e rilevando la fortuna del padre deceduto. I problemi economici della famiglia e le vecchie ruggini con il rifiutato in nozze Hamish Ascot, costringono Alice a rifugiarsi nel Sottomondo, ritrovando gli amici di sempre ad eccezione del Cappellaio Matto, stranamente triste e malato. Si scoprirà che il cambiamento caratteriale e umorale dello strambo personaggio è dovuto alla presunta riscoperta della sua famiglia, tramite il ritrovamento del primo piccolo cappello fatto dallo stesso Tarrant Altocilindro. Ora, andando ad analizzare in maniera scrupolosa la trama non riusciamo a trovare davvero la motivazione dell’incipit, scarno all’inverosimile e senza una vera giustificazione. Mentre in Alice in Wonderland la giovane ragazza percorre il Sottomondo quasi come una via crucis parallela alla realtà, splendidamente reso dal genio di Tim Burton, in questo caso le motivazioni sono davvero banali. Arrivata nell’incantevole luogo (praticamente identico a quello tratteggiato nel primo film) Alice deve guarire il Cappellaio Matto perché è triste e per farlo deve fare un elenco di cose già stabilite. Se provassimo a mettere il punto qui nulla farebbe una piega, il finale è già scritto, lo svolgimento della storia è noto, non c’è collegamento logico tra un’azione e l’altra ma solo un semplice rapporto causa-effetto. In Alice in Wonderland la finalità di Alice nel Sottomondo era molto più grande e soprattutto aveva a che vedere con la realtà, con i patemi di una giovane ragazza alle prese con i problemi quotidiani e con un matrimonio sgradevole alle porte. Di questa aura sacrale, Tim Burton ha saputo rivestire il Sottomondo del tipico vestito gotico e dark che adorna da sempre le sue pellicole. Bobin, dal canto suo, si è trovato con le spalle al muro, ereditare un sequel da Burton (infausto compito già toccato a Schumacher con la saga di Batman, generando mostri senza ragione) e ahimè, trasporre un film tratto da un libro totalmente diverso dal primo, dove la maturità e la severità delle argomentazione Carrolliane emergono in maniera divampante.

Alice attraverso lo Specchio

Con questi due ardui ostacoli e con una sceneggiatura debole, priva di twist degni di nota e senza un mordente ben noto, siamo di fronte ad un completo disastro, dove nemmeno l’apparato tecnico (ormai non ci sorprende davvero più niente) e una buona CGI salvano la baracca. Alice Attraverso Lo Specchio è l’inspiegabile (si spera!) conclusione di un lavoro magicamente iniziato da Burton e tristemente guastato dalla pesantezza dell’eredità filmica lasciata a James Bobin, il quale ha cercato di rimediare ma senza successo, cercando di creare qualcosa di diverso.

La bellezza delle cose sta proprio nella loro conclusione, prima o poi.

Regia - 1.5
Sceneggiatura - 0.5
Fotografia - 1.5
Recitazione - 2
Sonoro - 1
Emozione - 0.5

1.2