Agadah: recensione del film di Alberto Rondalli

Sarà al cinema dal 16 novembre distribuito da Pino Rabolini e Amor Film, Agadah, un viaggio onirico, cabalistico, erotico e rocambolesco, capace di travolgere completamente lo spettatore.

Se qualcuno cercasse di immaginare l’opera Traumdeutung (L’interpretazione dei sogni) di Freud in una versione cinematografica, sicuramente Agadah sarebbe il film che più di tutti potrebbe rappresentarla. Questo film del regista Alberto Rondalli uscirà nelle sale italiane il 16 novembre. Dal cast internazionale, Agadah è un film però di produzione italiana, girato cinque settimane in Puglia, cinque in Basilicata e una settimana a Roma. Protagonista della storia è il giovane Alfonso van Worden, rappresentato dall’attore argentino Nahuel Pérez Biscayart, interprete anche nel film 120 battiti al minuto. Tra gli attori italiani Umberto Orsini, Alessio Boni, Valentina Cervi, Federica Rossellini, Flavio Bucci e Alessandro Haber.

Nel 1815 il conte Potoski lavora a un manoscritto e ben presto lo spettatore viene catapultato nel magico mondo del suo racconto. Nel 1734 Alfonso van Worden, capitano dell’esercito Vallone di Re Carlo, deve raggiungere il reggimento a Napoli nel più breve tempo possibile e ciò significa attraversare l’altopiano delle Murgie. Il suo fedele servitore, Lopez, cerca in tutti i modi di dissuaderlo, dal momento che quel tratto è infestato da spiriti e demoni, ma il giovane Alfonso, scettico riguardo queste credenze, decide di non farsi destare da queste dicerie e di proseguire su quel tragitto.

Agadah è un viaggio in un mondo onirico, cabalistico, erotico e rocambolesco; in breve un mondo fantastico, che travolge

La trama del film non può essere raccontata facilmente e in poche parole, dal momento che la sua sceneggiatura è una struttura precisa e sottile che si dirama perfettamente come una ragnatela, nella quale domina un’armonia perfetta, ma se si dovesse strappare uno dei suoi fili tutto potrebbe sfaldarsi, cosa che però nel film non succede.
Rondalli decide di compiere questa impresa, ovvero fare la trasposizione del Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki, un manoscritto del 1800 che racchiude le sfaccettature, i generi e i metodi del racconto più varie. Dai toni del Don Chisciotte e Sancho Panza di Cervantes, di cui una citazione segna l’incipit del film, da elementi del Decameron di Boccaccio – con i diversi racconti che si intrecciano e si fondono -, al sapore orientale delle Mille e Una Notte, il Manoscritto, così come la trasposizione Agadah, è un apoteosi della narrazione, la quale diventa la vera protagonista della storia.

In Agadah la narrazione stessa diventa protagonista. La ragione si confronta con l’immaginazione

Agadah infatti significa proprio narrare. Partendo dal viaggio di Alfonso, che incontrerà tanti personaggi che gli racconteranno delle storie, dalle quali si sviluppano altre storie, il film risulta così una prova che va al di là dell’intermedialità tra libro e cinema e dell’autoreferenzialità del medium stesso, in Agdah si uniscono elementi di storia, con racconti erotici, mistici, cabalistici, onirici, il viaggio in un mondo fantastico, il quale confine con la realtà è molto sottile. Niente è come appare.

Centrale nel film è sicuramente il rapporto tra ragione e immaginazione, infatti Alfonso sostiene che non ci sia nulla che la ragione non possa comprendere, mentre Rebecca, la sorella di Pietro Di Oria (un cabalista), afferma che ci sono cose al di là della ragione, più grandi di noi, come gli astri, gli spiriti e i demoni. Si ritrovano a confronto i due grandi concetti opposti e contrari che rappresentano in parte il dibattito europeo dell’epoca, ovvero il confronto tra Ragione e Immaginazione, lotta sintetizzata da Kant, la prima nella Critica della ragion pura, e la seconda nella Critica del Giudizio. La ragione (Vernunft) diventava la capacità del pensiero umano di comprendere avvenimenti senza averne fatta esperienza diretta (a priori), dal momento che sono verità già presenti in noi e che non richiedono la verifica della loro certezza. L’immaginazione, al contrario, è in qualche modo la riproduzione delle sensazioni, idee e ricordi che attraverso la fantasia vengono estese.

Lo spettatore si getta in un mondo onirico e lontano, senza sentirsi però mai perso

Questo racconto fantastico è incorniciato da una paesaggistica semplice, naturale ed efficace, la quale viene rafforzata da una fotografia impeccabile, che riesce a creare un equilibrio tra l’atmosfera storica, pittorica e gli effetti speciali dati da scheletri, mostri e demoni.

Lo spettatore deve abbandonarsi al racconto, lasciando proprio la cara ragione di Alfonso da parte, senza porsi troppe domande, se sia vero o reale, ma semplicemente godendo della storia in sé. Ciò è reso possibile grazie ad un’ottimo ensemble, che trova tra di loro un buon equilibrio, donando così ai vari personaggi una coralità solida. La regia d’altro canto riesce a dare un’unità a questa grande narrazione, frammentata in tanti altri racconti, così che lo spettatore, sebbene si ritrovi proiettato in un mondo lontano e onirico, può immergersi in questa storia, senza mai perdersi.

Regia - 3
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

3.4