ABBA: Against the Odds – recensione del documentario che riscrive il mito pop
Abba è un documentario ricco di sorprese che trasporta nel passato.
ABBA: Against the Odds (2024), il documentario diretto da James Rogan disponibile su Netflix da maggio 2025, non è soltanto un racconto musicale: è un’operazione di restauro emotivo, una carezza narrativa che svela ciò che si nasconde dietro il luccichio del successo. Disponibile su BBC iPlayer e in DVD, il film ripercorre la storia del leggendario gruppo svedese ABBA, dalla clamorosa vittoria all’Eurovision Song Contest del 1974 fino alla consacrazione globale. Ma lo fa con uno sguardo nuovo, profondo e necessario.
Dalla leggerezza al coraggio
Nel 1974, Waterloo non fu solo una hit. Fu uno shock culturale. Quattro sconosciuti dalla Svezia vincono Eurovision con un’esibizione tanto appariscente quanto travolgente. Eppure, anziché venire celebrati, gli ABBA vennero guardati con sospetto. Critici britannici li snobbarono, i DJ rifiutavano di suonare i loro brani, e perfino in patria erano considerati “troppo commerciali”. È da questa ostilità che il film trae il suo titolo: “Against the Odds”, contro ogni previsione.
Il documentario ci ricorda che il successo degli ABBA non è stato un colpo di fortuna, ma il frutto di una visione artistica radicale. La leggerezza, in loro, è un atto politico. In un mondo musicale dominato dal rock maschile, sporco e ruvido, loro rispondevano con armonie vocali perfette, coreografie scintillanti e melodie che sembravano uscite da un sogno pop. Ma dietro quella perfezione si celava fatica, fragilità e desiderio di essere presi sul serio.
La voce femminile che chiede ascolto e aneddoti che sorprendono in ABBA: Against the Odds

Uno degli aspetti più toccanti del film è la luce che viene posta sulle due figure femminili della band, Agnetha Fältskog e Anni-Frid Lyngstad. In particolare, le parole di Agnetha risuonano con forza: “Parlavano di me come se fossi un corpo, non una persona”. Una frase che racconta anni di oggettivazione mediatica, in cui la sua voce veniva sì ammirata, ma il suo corpo veniva scomposto, sezionato, giudicato.
In un’epoca che fatica ancora oggi a trattare le donne dello spettacolo con rispetto, Against the Odds restituisce loro dignità. Le mostra come artiste consapevoli, madri in tournée, compagne di uomini famosi, ma soprattutto donne che hanno saputo navigare un’industria feroce senza perdere la propria voce.
ABBA: Against the Odds – valutazione e conclusione

Il documentario si regge su un montaggio fluido ed elegante, fatto di filmati inediti, interviste dell’epoca e voci autorevoli come Paul Gambaccini e Nile Rodgers, che restituiscono contesto e prospettiva. Non mancano momenti leggeri e curiosi: emblematico è l’aneddoto sul roadie dei Sex Pistols che ascoltava ABBA in segreto, lontano dallo sguardo dei compagni punk. Piccoli dettagli che rivelano quanto fosse trasversale il loro impatto.
Esteticamente, il film è un trionfo. Dai costumi alle coreografie, dalle copertine agli spettacoli televisivi, tutto negli ABBA gridava anticipo sui tempi. In un’epoca in cui il marketing visivo era appena agli albori, loro avevano già intuito la potenza dell’immagine, creando un’identità visiva inconfondibile. Eppure, quel desiderio di “farsi notare” spesso si ritorse contro di loro, etichettandoli come frivoli. Rogan, con sensibilità, smonta questo pregiudizio e ci mostra quanto fosse, in realtà, una scelta consapevole e coraggiosa. ABBA: Against the Odds non cerca scoop né scivola nel fan service. Il suo merito più grande è quello di umanizzare un mito, riportandolo sulla terra, tra sudore, incomprensioni e conquiste silenziose. È un documentario che si guarda con gli occhi ma si ascolta con il cuore. Nel riproporre il mito degli ABBA, il documentario riporta l’atmosfera culturale e iconografica di un’intera epoca, facendo sognare lo spettatore appassionato di musica.