Winning Time – L’ascesa della dinastia dei Lakers: recensione della serie Tv

Winning Time: l'ascesa della dinastia dei Lakers è il racconto di un decennio leggendario per il team NBA. Da Jerry Buss a Magic Johnson, esuberanza formale e ottima recitazione per una serie che colpisce più per lo stile che per la sostanza.

Arriva il 2 giugno 2022 su Sky Atlantic con cadenza di due episodi a settimana, in totale sono dieci, mentre in streaming va su NOW TV. Winning Time: l’ascesa della dinastia dei Lakers traccia l’arco leggendario della storia di una delle corazzate più celebrate e iconiche dello sport e del business americano, due cose che da quelle parti marciano di pari passo. Quando si parla dei Los Angeles Lakers si parla degli anni ’80 e seguenti, dell’esplosione globale dell’NBA, di un paio o forse più di nomi pesantucci. Kareem Abdul-Jabbar, Magic Johnson, in tempi più recenti il grandissimo e mai troppo rimpianto Kobe Bryant che però qui non c’è, perché la serie si concentra su quello che succede nel momento in cui i Lakers diventano davvero i Lakers. Il nome da fare è quello di Earving “Magic” Johnson Jr. Lo chiamano Magic per le sue virtù sportive e perché Earving come nome non è che suoni benissimo.

Winning Time: l’ascesa della dinastia dei Lakers è una serie Tv prodotta, tra gli altri, da Adam McKay (Don’t Look Up) che dirige anche il primo episodio, creata da Max Borenstein e Jim Hecht, interpretata da John C. Reilly, Quincy Isaiah, Sally Field, Jason Clarke, Adrien Brody, Gaby Hoffmann, Jason Segel e Tracy Letts. Tratta da una storia vera, abbondantemente drammatizzata, la fonte di riferimento è il libro di Jeff Pearlman Showtime: Magic, Kareem, Riley, and the Los Angeles Lakers Dynasty of the 1980s.

Winning Time – L’ascesa della dinastia dei Lakers: un imprenditore che vede lontano e un giocatore fuori dagli schemi

Winning Time: l'ascesa della dinastia dei Lakers cinematographe.it

Le coordinate storiche sono presto dette, era Showtime, 1979-1991. Sono i dodici anni in cui i Lakers costruiscono buona parte della loro storia blasonata e reclamizzata. Winning Time: l’ascesa della dinastia dei Lakers si concentra, nei primi quattro episodi, sul dietro le quinte più che sul sangue e arena dei match veri e propri. Una scelta saggia. Perché se è vero che tutti hanno sentito parlare dei Lakers e tutti hanno sentito parlare di Magic Johnson, capire il basket, “sentire” il basket, spiegare il basket è cosa altra. Tra l’altro, il grande limite della narrazione sportiva, cinematografica e seriale, è storicamente rappresentato dalla difficoltà di replicare in maniera credibile la verità, l’intensità, la complessità del gioco. La serie evita di affrontare la questione, almeno nei primi episodi.

Winning Time: l’ascesa della dinastia dei Lakers è la storia di due città e di due teste pensanti, ciascuna delle quali, a modo suo, fa molto per l’NBA, i Lakers e la rispettiva mitologia personale. Si chiamano Jerry Buss e Magic Johnson. Jerry Buss (John C. Reilly) è un uomo molto ricco e annoiato che ama il basket e le donne, non necessariamente in quest’ordine. Compra i Lakers nel 1979 con l’ambizione di rivoltare storia, tradizione e pedigree di una grossa incompiuta del basket americano. A comandare, fino a quel momento, sono i temibilissimi Boston Celtics, costa Est. Buss modella un impero edonistico e spettacolare fatto di vittorie sul campo, valorizzazione del business “intorno” , attenzione ai tempi che cambiano. Fa leggere i libri contabili alla mamma Sally Field, perché le cose non è che vadano benissimo finanziariamente, tutt’altro. Si affida alla serietà e all’istinto manageriale della pioniera del business Gaby Hoffmann, che si occupa di gestire la casa dei Lakers ed è un po’ il gancio progressista della serie, non molto approfondito.

In società Buss fa entrare, come stagista, la figlia Jeanie (Hadley Robinson), un ruolo importante nella storia dei Lakers che arriverà poi, senza spoilerare troppo. Soprattutto compra Magic Johnson (Quincy Isaiah), nonostante lo scetticismo di molti. Magic viene da Lansing, Michigan, ha la lingua lunga, sta stare al mondo e ama parecchio la vita. Pensa un basket impossibile per gran parte di chi gli sta intorno, infatti all’inizio quasi nessuno lo capisce. Non è l’unico gigante di zona. Kareem Abdul-Jabbar (Solomon Hughes), Pat Riley (Adrien Brody), Paul Westhead (Jason Segel), Jerry West (Jason Clarke) e Jack McKinney (Tracy Letts) sono nomi, storie e leggende del basket che magari, con qualche nobile eccezione, non risuoneranno nel bagaglio intimo della maggior parte degli spettatori. Poco importa, perché la serie è precisa nel definire ambiti e competenze, disegnando una storia leggibile per tutti, profani e non. Lo fa puntando su caratterizzazioni molto forti e uno stile esuberante. Croce e delizia dell’operazione.

Winning Time – L’ascesa della dinastia dei Lakers: stile esuberante e caratterizzazioni molto forti

Winning Time: l'ascesa della dinastia dei Lakers cinematographe.it

L’era si chiama Showtime, con riferimento a uno stile di gioco altamente spettacolare ideato, ma non portato a compimento, da Jack McKinney. Lo interpreta Tracy Letts, l’antipatico più simpatico del cinema e della tv americana, in una delle caratterizzazioni più complesse e realistiche dello show. Aggiungiamo l’entusiasmo contagioso di un John C. Reilly totalmente in parte e la disinvolta energia di Quincy Isaiah, che è molto giovane ma ha abbastanza senso delle proporzioni e maturità per ingabbiare la grandezza e il carisma divertito del suo Magic Johnson.

Non ci si inganni, la qualità complessiva della recitazione è davvero alta. Il punto è che l’istinto per la drammatizzazione di Winning Time: l’ascesa della dinastia dei Lakers porta la serie lontana dal rigore e dall’autenticità cronachistica per offrirci una galleria di psicologie e caratterizzazioni molto polarizzate e forse un po’ superficiali. Dall’alterità snob di Solomon Hughes e del suo Kareem Abdul-Jabbar alla buffa insicurezza di Adrien Brody per finire sul malessere e il grugno perenne di Jason Clarke. Il suo Jerry West, quello vero, non ha preso bene la caratterizzazione. Il risvolto femminista è il racconto di donne più o meno sole in un mondo di uomini. La serie è dalla parte di Molly Gordon, Gaby Hoffmann e Hadley Robinson. Ma non fa molto per smascherare il sessismo nel mondo che sceglie di raccontare.

Winning Time: l’ascesa della dinastia dei Lakers è una serie competente, molto godibile e di sicuro interesse. Cattura, perché la storia e i personaggi “pesano”, ma anche perché punta forte su uno stile di racconto molto colorato e vivace. Moltiplicazione dei formati, lavoro raffinato sulle musiche, la tentazione costante di fare a pezzi la quarta parete e di mettersi a tu per tu con il pubblico sono le cifre espressive di un certo modo di raccontare, molto pop ed esuberante, che tanto ha a che vedere con il passo autoriale (?) di Adam McKay. La sensazione è che lo stile tenda a fagocitare la sostanza; la serie non spicca mai il volo emotivo e narrativo perché la sua principale preoccupazione è la glorificazione e la promozione di forma di racconto ben precisa. L’operazione seriale è ambiziosa. Si fosse occupata più di quello che racconta e non di come lo racconta, sarebbe stata straordinaria.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 2.5

3.2

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