Ultraviolet – Stagione 2: recensione della serie TV Netflix

Torna su Netflix Ultraviolet, con nuove indagini e il suo affiatato team di brillanti detective amatoriali

Siamo abituati a vedere i membri delle forze dell’ordine come degli eroi, pronti a far rispettare la giustizia e a proteggere il cittadino. Non è così in Ultraviolet, serie polacca nella quale il sistema è pieno di falle e di negligenze.
Debuttata su Netflix nel 2018 con la sua prima stagione e tornata con nuovi misteri il 19 dicembre 2019 sulla piattaforma streaming, Ultraviolet è un drama che sfrutta elementi moderni e l’attuale sfiducia nel sistema per costruire una storia di eroi diversi dal solito, speciali pur nella loro normalità e capaci di fare molto più di quanto si possa immaginare.

Ultraviolet: la condivisione fa la forza

Si può dire molto del genere poliziesco, tranne che si tratti di una realtà poco esplorata dalle serie tv. La lista di titoli investigativi è talmente lunga che è davvero impossibile creare un prodotto che sia al cento per cento originale. Si può però tentare di apportare qualche interessante innovazione, come ha voluto fare Ultraviolet, serie ideata da Wendy West.

Ultraviolet Cinematographe.it

Ultraviolet

Spostando il focus dal sistema interno alle forze di polizia – che appaiono in questo drama come un organismo inadeguato – Ultraviolet catalizza l’attenzione dello spettatore su una tipologia di “eroe” sui generis, ma incredibilmente attuale. In una società in cui i difensori della giustizia non vogliono e non possono svolgere adeguatamente il loro lavoro, esiste qualcuno che è in grado di sostituirli. Così la prima stagione ha mostrato l’entrata della protagonista, Ola Serafin (interpretata da Marta Nieradkiewicz) nel team segreto degli Ultraviolet, un gruppo composto da professionisti di ogni tipo, uniti dalla volontà di risolvere i casi archiviati dalla polizia.
In questa seconda stagione continuano le imprese della squadra, ostacolata dalle forze dell’ordine, ma sempre più decisa ad aiutare gli innocenti.

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Marta Nieradkiewicz e Viet Anh Do in Ultraviolet

L’originalità della serie e innegabilmente punto forte nelle sue puntate d’esordio, è proprio il legame indissolubile con la modernità. La squadra degli “ultravioletti” riesce a essere un passo avanti rispetto alla polizia proprio perché possiede una visione di insieme del mondo. Ai metodi tradizionali predilige le capacità di ogni membro del team, capacità che si inseriscono facilmente in una realtà fortemente digitalizzata.
All’immancabile giovane hacker, figura già enormemente sfruttata in vari polizieschi per violare i sistemi informatici e raccogliere tutte le informazioni necessarie, Ultraviolet affianca anche personaggi innovativi
, come due influencer di moda, capaci di creare una vasta rete di contatti. La condivisione – dall’importanza centrale anche nella seconda stagione di Ultraviolet e spesso visivamente ricordata anche dall’uso di grafiche particolari – è il fulcro della narrazione, non solo l’elemento su cui si basa la capacità del gruppo di portare avanti le indagini con una sensibilità estranea alla polizia, ma anche quello che permette allo spettatore di empatizzare con i personaggi e di riconoscersi nella loro sete di giustizia.

Ultraviolet: una seconda stagione interessante, ma più fiacca

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Marta Nieradkiewicz in Ultraviolet

La natura stessa di Ultraviolet permette alla serie di proseguire nel suo racconto senza annoiare troppo lo spettatore. Accanto a una vicenda principale – che impegna Ola nella ricerca della verità sull’omicidio del fratello – si può assistere a diverse storie, quasi come se ci trovassimo di fronte a una serie poliziesca antologica. A quasi ogni puntata corrisponde un caso diverso, che permette a questo titolo polacco di sfruttare al meglio tutti i punti forti dei suoi personaggi, svelandone anche le numerose debolezze.
Se la prima stagione vedeva una preponderante presenza di Ola sullo schermo, la seconda stagione ha modo di esplorare anche le altre figure in gioco, coinvolgendole maggiormente. Alcune di loro tuttavia, restano ancora sullo sfondo, come per esempio il poliziotto Michal (Sebastian Fabijański), che risente qui di uno spazio su schermo limitato e di uno scarso approfondimento.

In linea generale, rispetto alla prima stagione, risulta un po’ freddo questo ritorno di Ultraviolet. I casi continuano a essere interessanti, soprattutto se si tiene conto dell’originalità di quel concetto di condivisione a cui la serie si affida per risolverli, ma la trama risulta meno fluida rispetto alla prima stagione e talvolta ripetitiva.
La vicenda personale di Ola si infittisce e al tempo stesso si avvicina alla risoluzione, ma viene arricchita da dinamiche che sembrano troppo simili alle precedenti puntate.
Spetterà a una possibile (ma non confermata) terza stagione portare qualche novità in più alla trama e approfondire i rapporti tra i personaggi.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.8

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