Sweet Tooth – Stagione 3: recensione della serie fantasy Netflix

Un eccellente Christian Convery nell'ultima stagione di Sweet Tooth, con un finale appropriato e soddisfacente.

Il virus dell’Afflizione, la nascita di bimbi ibridi (in parte umani e in parte animali), incidenti fantastici, inseguimenti in motoslitta e aggressivi ragazzi lupo sono alcuni degli ingredienti di Sweet Tooth 3, la stagione conclusiva dello show prodotto da Warner Bros. Television e diretto da Toa Fraser, composta da otto episodi sviluppati da Jim Mickle per Netflix e basati sull’omonimo fumetto della DC di Jeff Lemire. Le nuove puntate – disponibili per la visione sulla piattaforma streaming dal 6 giugno 2024 – conducono verso un finale appropriato e soddisfacente che riporta i fan del fantasy in Alaska, dove tutto è iniziato.

Sweet Tooth – Stagione 3: Gus è in viaggio verso l’Alaska per trovare sua madre che intanto sta cercando la cura per salvare il mondo dalla letale Afflizione

Sweet Tooth. Christian Convery as Gus in episode 303 of Sweet Tooth. Cr. Matt Klitscher/Netflix © 2024

In un mondo postapocalittico Toa Fraser ci mostra – alternando le scene – cosa accade contemporaneamente a Gus (Christian Convery), il bambino cervo nonché protagonista di Sweet Tooth, e a sua madre Birdie (Amy Seimetz), che intanto è in Alaska e sta cercando di trovare una cura per l’Afflizione. La mission è salvare l’umanità dall’estinzione, dare una speranza agli ultimi uomini. Dopo aver sconfitto il generale Abbot nella battaglia presso il rifugio di Pubba, il piccolo Gus, insieme a Jepperd (Nonso Anozie), Becky (Stefania LaVie Owen) e Wendy (Naledi Murray) intraprende un viaggio lungo e pericoloso verso l’Alaska sulle tracce di Birdie che sta cercando di scoprire le misteriose origini della letale Afflizione. Sul percorso si unisce a loro il dottor Singh (Adeel Akhtar), che ha le sue pericolose convinzioni riguardo a Gus e al suo ruolo nell’annientare il virus. Nel frattempo emerge anche una nuova minaccia rappresentata da Helen Zhang (Rosalind Chao), dalla figlia Rosie (Kelly Marie Tran) e dai feroci ragazzi lupo che cercano di ripristinare le nascite umane e vedono Gus come la chiave per i loro piani. Mentre attraversano terreni pericolosi Gus e i suoi amici si rifugiano nell’avamposto in Alaska, dove incontrano una nuova serie di personaggi.

Un eccellente Christian Convery nell’ultima stagione

Sweet Tooth 3 è una grande stagione per Christian Convery, che molte volte ha letteralmente il mondo intero dello show sulle sue spalle. Attraverso la sua performance, vediamo un bambino cresciuto in fretta evolversi in un narratore e in un leader destinato a decidere cosa è meglio per il mondo in cui è nato (e che per giunta non lo vuole). Gus, che sin dalla prima stagione ha quasi sempre avuto qualcuno al suo fianco per sostenerlo nel viaggio, in uno dei migliori episodi di questo terzo ciclo, cioè in Al di là del mare, rimane isolato e questa situazione lo costringe a capire cosa è meglio per il suo gruppo e per quelli che, come lui, si sono persi allo stesso modo. Sweet Tooth 3 ci fa conoscere, come detto, nuovi personaggi che però rallentano il viaggio di Gus piuttosto che elevarlo. Incontriamo ad esempio la comunità con cui Birdie ha vissuto in Alaska, tra cui la sua amica Siana (Cara Gee), la figlia ibrida di Siana, Nika (Ayazkhan Dalabayeva) e altri membri della piccola città. Ma la maggior parte di queste new entry è solo un mezzo per portare Gus a destinazione. Lo show si sostiene invece grazie alla caratterizzazione del personaggio principale, e il finale di stagione è il momento in cui questo ci viene mostrato in tutto il suo splendore, sintetizzando anche i presupposti di Sweet Tooth e rendendo la destinazione degna di essere raggiunta. In Questa è una storia, come in gran parte dello spettacolo, si riescono a cogliere mix e tono giusti per omaggiare Lemire, e per una rilettura più positiva del materiale originale.

Sweet Tooth – Stagione 3: valutazione e conclusione

 È stata meravigliosa la prima stagione, seguita da una seconda meno scorrevole del previsto e da una terza ed ultima visivamente potente che inizia però con un ritmo lento e non riesce a disperdere molti dei problemi del secondo ciclo (una sceneggiatura non totalmente coinvolgente). Preso nel suo insieme, però, lo spettacolo è delizioso, e guardando ad esempio – a proposito di tecnica – al dinamismo nella regia o alla perfetta interpretazione di Convery, ma anche al finale di una storia piena di amore e di speranza. Al tentativo di far pensare al peso degli stereotipi, delle discriminazioni, delle visioni etnocentriche: a quella “normalità” decodificata come conformità, che è un concetto che permea la nostra vita quotidiana.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.1

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