Star Trek: Discovery – recensione di primi episodi della serie tv Netflix

Arriva su Netflix Star Trek Discovery. Serie ambientata dieci anni prima del Capitano Kirk e che rilancia il franchise ideato da Gene Roddenberry.

Un doppio inizio per Star Trek: Discovery, serie tv targata Netflix (qui il trailer) che ci riporta di prepotenza nell’universo di Star Trek. Ben due episodi che mettono subito in chiaro una cosa: Discovery è dedicato ai fan della serie (Trekkie, come amano definirsi) ma sopratutto a chi si sta avvicinando ora all’universo della Federazione dei Pianeti Uniti.

Star Trek Discovery: torna il franchise ideato da Gene Roddenberry

La U.S.S. Shenzhou, capitanata dall’intrepida Philippa Georgiou e dal primo ufficiale Michael Burnham, viene chiamata a riparare un satellite di comunicazione posto al limite estremo della galassia, proprio al confine con i territori della Federazione. Una volta giunto su posto, l’equipaggio capisce che la manomissione è stata dolosa e, a poca distanza, una strana nave è apparsa. La Shenzhou scopre che si tratta dei Klingon che, guidati da T’Kuvma, hanno intenzione di invadere la galassia e annientare la Federazione stessa.

Star Trek: Discovery - Sonequa Martin-Green

Star Trek: Discovery regala emozioni fin dai primi due episodi, portandoci per mano in un universo che ben conosciamo ma che a volte non ci sembra così familiare. Una sceneggiatura ben scritta che strizza l’occhio alla serie classica ma che se ne distanzia in tante piccole sfaccettature. Discovery, ambientato un decennio prima dell’Enterprise e del Capitano Kirk, si concentra di più sulla caratterizzazione dei personaggi senza dimenticare l’azione che di certo non manca, ottima prova anche per quanto riguarda gli effetti visivi che hanno il loro exploit durante la battaglia stellare tra i Klingon e la Federazione.

Star Trek: Discovery – Personaggi ben delineati e caratterizzati

Ma a riuscire davvero è stata proprio la descrizione psicologica dei protagonisti, partendo dalla sempre più brava Sonequa Martin-Green (Non vi sarete dimenticati Sasha di The Walking Dead?!) nel ruolo di Michael Bauman, umana allevata nell’accademia vulcaniana da un giovane Sarek (il padre di Spock). Michael cerca di assimilare il sapere della galassia cercando di adeguarsi ai “modi” vulcaniani senza però dimenticare la sua umanità. Per quanto si sforzi di usare la logica le sue paure emergeranno prepotenti a causa dei traumi subiti da bambina, quando rimase l’unica sopravvissuta di un attacco Klingon.

Convincente anche il personaggio di Philippa Georgiu (interpretata da Michelle Yeoh) capitano della U.S.S. Shinzhou, una donna forte ma saggia al tempo stesso, esprime un imponente aura di rispettabilità. Ha un grande rispetto per Bauman anche quando sono i disaccordo sulle decisioni da prendere, nonostante questo suo affetto per il primo ufficiale è un capitano risoluto pronta a prendere posizioni che vanno contro i suoi stessi sentimenti.

Capitolo a parte va aperto per i Klingon, la stirpe guerriera originaria del pianeta Qo’noS. A differenza della serie classica, questa versione dei Klingoniani è leggermente più mostruosa rispetto alla controparte passata, anche l’architettura delle navi si discosta moltissimo dallo stile molto minimalista che la razza aliena ha avuto in passato, cosa che sicuramente farà storcere il naso a più di qualche trekkie.

Questo cambio di rotta è invece apprezzabile, perché i Klingon non sono più visti come un villain qualsiasi ma hanno una psicologia complessa alle spalle. Divisi in ventiquattro casate, divisi e costantemente in lotta fra loro, vedono nella guerra contro la Federazione, un modo per riunificarsi e cercare un’unità etnica che per millenni hanno solo sperato  di avere. Merito va a T’kuvma (Chris Obi) che vede nell’unità dei Klingon l’unica speranza per il futuro.

Star Trek: Discovery è una serie adatta a tutti

Star Trek: Discovery sembra essere partita col piede giusto, posizionando i vari “pezzi” sulla scacchiera, una serie che, siamo certi, rilancerà il franchise ideato da Gene Roddenberry, grazie anche al lavoro di due grandi delle serie tv come Bryan Fuller (American Gods) e Alex Kurtzman (Sleepy Hollow).

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.8