Spriggan: recensione dell’anime Netflix

Da un cult degli anni '90 la David Production traspone la serie original net anime Netflix, con un design innovativo e un'animazione rinnovata.

Per chi negli anni ’90 leggeva manga probabilmente il nome Spriggan non dovrebbe essere del tutto sconosciuto: manga scritto da Hiroshi Takashige e disegnato da Ryōji Minagawa, serializzato dal 1989 sulle riviste Weekly Shonen Sunday e Shonen Sunday Super, arrivò in Italia edito dall’ormai defunta casa editrice Granata Press. Qualche anno più tardi il videogioco per PlayStation e, nel 1998, sull’onda degli adattamenti anime, ecco la trasposizione anime in versione cinematografica ad opera di Norihiko Sudo su soggetto di Hiroshi Takashige, avvalsosi dell’assistenza di quello che era considerato già un maestro per la sua opera omnia Akira, ovvero Katsuhiro Otomo.

Spriggan Cinematographe.it

Lo Studio David Production nel 2021 annunciò un original net anime che potesse riprendere le vicende raccolte nei capitoli del manga, ampliando dunque quello mostrato nel film del 1998, che si concentrava solamente su una singola vicenda autoconclusiva. Il 18 giugno Netflix ha quindi rilasciato la serie anime Spriggan, composta da 6 episodi da circa 45 minuti, che si propongono di ricalcare la struttura della versione cartacea. 

Un’antica società tecnologicamente avanzata ormai estinta ha lasciato dei particolari artefatti e delle rovine dall’enorme potere, lo stesso che ha portato la civiltà all’autodistruzione. L’ARCAM Corporation si adopera per preservarne l’incolumità grazie agli Spriggan, corpo speciale incaricato per contrastare le mire egoistiche di differenti società internazionali che vogliono utilizzare il potere degli artefatti per potenziarsi e sopraffare le altre potenze mondiali.

Spriggan e la sua natura fortemente episodica

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La serie Netflix si indirizza maggiormente, rispetto alla precedente trasposizione animata, verso la fedeltà del manga, riuscendo a coprire essenzialmente tutti gli snodi principali e mostrando gli stessi personaggi e dinamiche presenti nel fumetto. Oltre a qualche taglio strutturale, l’intera narrazione procede in modo spedito e esaustivo, nonostante l’autoreferenzialità diegetica propria della sua forma strutturale.

La natura episodica e autoconclusiva di ogni episodio non mina la stabilità della serie, riuscendo a rendere l’anime molto godibile perché supportato da una trama di fondo abbastanza coerente e stabile. Riprendendo la struttura del manga, l’anime riesce a superare la barriera rappresentata dalla compattezza del film del 1998, ponendosi come punto di intramezzo tra rappresentazione cartacea e visuale: in ogni episodio c’è un manufatto o un luogo da proteggere da potenti organizzazioni che vogliono impossessarsene per scopi non troppo leciti. Yu Ominae è il perno centrale di tutte le vicende, ponendosi come personaggio principale, ma anche come costante narrativa per l’immedesimazione caratteriale dello spettatore nei confronti di un protagonista carismatico, ma per certi versi sfrontato e sbruffone. 

Uno stile d’animazione che non convince

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Lo stile e l’estetica ibrida si conformano potenziando la resa visiva dell’anime, andando ad amalgamare due matrici di natura tecnica differente sullo stesso piano grafico. L’animazione tradizionale, propria anche del primo adattamento del manga, si accosta a quella digitale, necessaria per rendere potenziati a livello visivo gli attacchi e gli effetti speciali propri della serie action. Da questo punto di vista, però, la tecnica utilizzata pecca sulla resa finale, confermando ancora una volta la tendenza dell’animazione giapponese a non conformarsi agli standard estetici propri del cinema d’animazione occidentale: se da una parte ciò rappresenta una peculiarità del solo ambito nipponico, dall’altro non riesce a soddisfare un occhio ormai troppo abituato ad un’ibridazione omogenea delle due matrici, identificando un compositing lineare e basato sulla sovrapposizione impercettibile tra animazione 2D e 3D.

Il character design è asciutto, semplice e efficace nella sua essenzialità, portando la compattezza della parte estetica nella giusta direzione spettacolare, non agghindandola di orpelli grafici superflui e destabilizzanti per l’occhio.

Nel complesso la serie è godibile soprattutto a livello narrativo: nella sua ridotta carica esplicativa e di diegesi di fondo può essere fruita indipendentemente da un’attenzione pedissequa alla storia e all’evoluzione dei personaggi, ma apprezzando i singoli episodi nella loro autoconclusione. 

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 3

2.6

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