Smiley: la recensione della serie spagnola di Netflix

Alex e Bruno si incontrano per caso e iniziano un rapporto pur sentendosi due opposti...

Smiley è una serie spagnola disponibile dal 7 dicembre su Netflix. Nella prima stagione, composta da otto episodi, Alex e Bruno e la loro storia d’amore sono al centro del racconto.
Una storia che sembra improbabile, perché i due ragazzi sembrano essere esattamente agli antipodi: ma forse, di quegli opposti che si attraggono.

Alex viene fuori da un rapporto sentimentale deludente, e ha paura di innamorarsi di nuovo per avere nuovamente il cuore spezzato; Bruno è invece incredulo che proprio Alex, con le sue caratteristiche, potesse attirarlo fisicamente ed emotivamente.

Si conoscono per caso, come nelle migliori tradizioni romantiche: perché quando il primo viene abbandonato da uno dei suoi partner, compone il numero sbagliato e inizia ad urlare ad uno sconosciuto. L’uomo dall’altra parte è Bruno, un romantico senza speranza che cerca qualcosa di serio nella vita: e la chiamata crea allora una connessione tra i due, ma si rendono conto della loro incompatibilità molto presto.
La curiosità li spinge ad incontrarsi e l’attrazione scoccherà inesorabile, nonostante i tanti problemi e i mille ostacoli tra di loro.

Un adattamento vissuto

Smiley è creata e diretta da Guillem Clua e nasce come adattamento teatrale da un autore premio nazionale per la letteratura drammatica. La serie mette al centro una storia d’amore che nasce e che cresce a Barcellona ma con dinamiche universali, vissuta nell’attualità dove si comunica con emoticon e app. ma l’amore è un sentimento che fa fatica ad esprimersi davvero, si nasconde dietro il silenzio di due punti, un trattino e una parentesi chiusa.

Il prossimo Almodovar sarà un western?

È diventato un classico citare Almodovar quando si tratta di raccontare la quotidianità dei rapporti omosessuali: senza rendersi conto che l’universo del genio iberico è ricco di sfumature e intriso di un’umanità dolente e stratificata, e ridurlo solo a caratteri e macchiette è molto più che sminuirlo.
Smiley invece fa proprio questo: preme il pedale su un cromatismo spinto al massimo, coreografa ogni dialogo in maniera improbabile, riempie gli spazi con scenografie pop, contestualizzando il tutto intorno ad una storia d’amore tra i due protagonisti.

Cosa non funziona in Smiley?

Ed è un peccato, perché i dialoghi sono brillanti e la trasposizione funziona e, per una volta, l’inserimento visivo di messaggerie varie ed emoticon non è forzato o fastidioso. Ma è proprio il nucleo narrativo che non funziona, perché tutto viene ridotto a bozzetti facili e banali.

smiley recensione cinematographe.it

Per di più, la sceneggiatura aggiunge storie di contorno che non funzionano; o perché hanno poco spazio, o perché ne hanno troppo, insomma sbilanciate nel loro essere parallele e intersecanti.
C’è l’umorismo yiddish, c’è la componente queer, ci sono i rapporti famigliari disfunzionali e una multietnicità che fa molto politically correct: ma è tutto così incollato insieme, tutto talmente telefonato da risultare sconfortante e persino noioso, in alcuni passaggi.

Non c’è verità, non c’è il palpito della sincera contorsione dolorosa nelle relazioni d’amore di oggi, non c’è sofferenza e non c’è neanche gioia in queste storie che corrono parallele e si sfiorano senza delicatezza: e a parte i dialoghi effervescenti, i caratteri sono tratteggiati con l’accetta. Smiley non si rende conto che l’emozione non è una formula, e invece tenta di applicarla ricostruendo situazioni già viste e interrelazioni senza nessun interesse, lasciando sullo sfondo spunti vagamente interessante e non riuscendo a dare né ritmo né la giusta andatura ad una storia che va avanti a singhiozzi.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2
Emozione - 2

2.5

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