Silo: recensione della serie tv su Apple TV+

Dal 5 maggio su Apple Tv+, con i primi due episodi, è disponibile Silo, l'attesa serie fantascientifica tratta dalla trilogia bestseller di Hugh Howey, con Rebecca Ferguson, Rashida Jones, David Oyelowo e Tim Robbins.

Pulite bene i vostri schermi perché Silo merita tutta la vostra attenzione. La nuova serie di Apple Tv+ si mostra in Italia con i suoi primi due episodi su dieci dal 5 maggio (gli altri a cadenza settimanale ogni venerdì), facendo già intuire quando a volte un ottimo pilot sia già metà del lavoro. La prima puntata infatti ci butta nella mischia del polveroso mondo sotterraneo della costruzione verticale al centro del racconto fantascientifico nato dalla mente dello scrittore Hugh Howey (“La trilogia del Silo”, bestseller del New York Times), nel quale sono stazionati da un tempo ormai imprecisato gli ultimi umani superstiti rimasti in vita.

Libertà uguale morte?

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In quell’enorme recipiente dalla forma elicoidale costruito su oltre cento piani, ogni abitante sottostà ad un regime formatosi in seguito ad una rivolta soppressa: un evento scatenato da alcuni ribelli violenti i quali, 140 anni fa, hanno osato sfidare l’unica e inconfutabile verità riguardo l’origine del Silo, ovvero che ognuno li loro è lì perché la vita, al di fuori delle loro mura, è ciò che è di poco è rimasto della vecchia terra ormai irreparabilmente contaminata, in cui è impossibile anche solo respirare. È una certezza che gli viene ricordata ogni giorno in sala mensa attraverso un enorme schermo che si affaccia sulle sterili rovine prive di ogni forma di vegetazione. Eppure, qualcuno, sta osando chiedersi se oltre quella finestra il mondo è davvero avvelenato, o se c’è chi, per sconosciute ragioni, ne altera le immagini per tenerli intrappolati.

La curiosità di vedere cosa c’è lì fuori inizia a solleticare l’interesse di Allison, acuta impiegata del reparto tecnologico, la quale si ritrova per mano una reliquia pre-ribellione considerata illegale. In quel drive scoprirà una verità tenuta nascosta ad ogni abitante del Silo, facendo sorgere in lei il desiderio di andare via, lasciando “a casa” a malincuore l’adorato marito, il tenente Holston. Anni dopo il suo addio, sarà Holston stesso con la complicità dell’ingegnere Juliette, a risalire alla medesima verità, e provare anche lui ad aprire quella invalicabile porta e vedere con i propri occhi il (nuovo) mondo fuori.

Ambiente, classi sociali e schermi totalitari: le letture multi-strato di Silo

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Sorta di hikikomori post-apocalittico in cui si rimane costretti a (rin)chiudersi nell’illusoria culla protettiva di un microcosmo autosufficiente per scampare ai pericoli esterni, Silo può essere letto come la metafora distorta del nostro presente perennemente scandito dallo sguardo dietro al dispositivo, inteso come ‘fonte’ ‘rappresentativa della realtà circostante. La serie, creata da Graham Yost (produttore di The Americans, Slow Horses e Justified), nella sua trama apparentemente intricata e nella sua intelaiatura ellittica fra flashback e salti temporali, non scoraggia, anzi, l’abbandono dopo i primi due episodi, proprio perché riesce a trovare diversi punti di contatto con tematiche di oggi, senza tuttavia che l’esigenza del collegamento a tutti i costi ad argomenti ‘altri’ rovini o intralci la fascinazione dell’adattamento tv.

Silo: valutazione e conclusioni della serie su Apple Tv+

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Sono domande esistenziali, quelle che muovono la liberazione dei personaggi interpretati da David Oyelowo e Rebecca Ferguson, e prima ancora di loro da Ferdinand Kingsley e Rashida Jones, che accompagnano a braccetto la curiosità dello spettatore nel veder lentamente svelato il meccanismo sociale, psicologico e puramente architettonico (il secondo episodio suggerisce qualcosa in tal senso) che sorregge l’intera struttura distopico-monumentale alla base dello show. Si ha l’impressione, finalmente, di trovarsi di fronte a una serie concretamente destinata a rimanere, capace di stratificare su più altitudini, proprio come è la struttura attorcigliata del Silo a forma di DNA, la concatenazione fra un’esperienza puramente sensoriale-immersiva (si percepisce la claustrofobica mancanza di ricambio d’aria; l’ammasso di popolazione in micro-appartamenti ad alveare; il gusto punk-hippie-underground degli abiti e delle scenografie; le sonorità distorte e ipnotiche che ricordano quelle ascoltante in The Handmaid’s Tale) e la tangibilità di un messaggio che ci avverte sui pericoli del futuro (dallecologia ai regimi totalitari, dalla cancellazione del passato alle potenzialità della conoscenza come atto di coraggio).

Sebbene ci sarà ancora molto da esplorare dopo aver visto questi primi due episodi, e se questa è solo l’anteprima, o il primo ‘piano’, allora bisognerà incamminarsi verso la lunga e stretta scalinata che collega i piani del Silo e vedere cosa ci aspetta più su.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.8

Tags: Apple TV+